La costruzione di una veranda all’interno di un condominio può dar luogo a illeciti, specialmente quando incide sul diritto di veduta in appiombo di un altro condomino.
Questo diritto, tutelato dall’articolo 907 del codice civile, impone precise distanze anche in verticale tra le proprietà sovrapposte.
Un esempio emblematico è rappresentato dall’ordinanza n. 10942 del 26 aprile 2025 della Corte di Cassazione, che ha ribadito il divieto di ostacolare la visuale verticale del condomino del piano superiore, indipendentemente dalle esigenze di riservatezza del vicino.
In questo articolo analizziamo il quadro normativo e giurisprudenziale che disciplina il fenomeno della veranda illecita in condominio.
Indice dei contenuti
- Il fatto
- La decisione della Cassazione
- Il diritto alla veduta in appiombo del condomino
- Veduta in appiombo e strutture dotate di apprezzabile stabilità
- La reazione del condomino
Il fatto
La vicenda trae origine dalla causa promossa da un condomino contro i proprietari dell’appartamento situato al piano inferiore. L’attore sosteneva che la costruzione di una veranda avesse violato le distanze legali di cui all’articolo 907 c.c., pregiudicando il suo diritto alla veduta in appiombo dalla terrazza di sua proprietà esclusiva.
Il Tribunale, in primo grado, riconosceva la fondatezza della domanda, ordinando la rimozione della veranda. In appello, però, i giudici ribaltavano la decisione, ritenendo che la costruzione non avesse violato le distanze legali. Secondo la Corte di Appello, la realizzazione della veranda coinvolgeva anche l’uso del muro perimetrale condominiale, pertanto doveva applicarsi l’articolo 1102 c.c., che consente un uso più intenso della cosa comune, purché non ne venga alterata la destinazione né impedito il pari uso agli altri condomini.
Il ricorrente, non condividendo tale interpretazione, si rivolgeva alla Corte di Cassazione.
La decisione della Cassazione
Con l’ordinanza n. 10942 del 26 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’attore, precisando che il giudizio doveva essere limitato alla tutela del diritto di veduta in appiombo, regolato dall’articolo 907 c.c., e non all’uso delle parti comuni regolato dall’articolo 1102 c.c.
La Corte ha affermato che il diritto di veduta in appiombo è pienamente tutelabile anche all’interno di un edificio condominiale, e che non può essere sacrificato in nome del diritto alla riservatezza del vicino, poiché il bilanciamento tra le esigenze contrapposte è già operato dal legislatore con l’articolo 907 c.c.
La Suprema Corte ha quindi ribadito che il condomino ha diritto di esercitare la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e può opporsi a qualsiasi costruzione che ne pregiudichi l’esercizio.
Il diritto alla veduta in appiombo del condomino
L’articolo 907 c.c. stabilisce che non si possono costruire edifici a meno di tre metri di distanza dalle vedute dirette aperte sul fondo del vicino. La norma trova applicazione anche in ambito verticale: è quindi vietato edificare sotto le aperture che godono del diritto di veduta, entro la soglia di tre metri.
Questo significa che un condomino che abbia una finestra, un balcone o una terrazza da cui può esercitare il diritto di veduta verso il basso ha titolo a pretendere che nessuno costruisca, a distanza inferiore a tre metri, alcuna struttura che ostacoli tale visuale.
La Cassazione, con la sentenza n. 5732 del 27 febbraio 2019, ha confermato che la norma realizza un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e il valore sociale della veduta, connesso all’igiene, all’illuminazione e all’aerazione degli immobili.
Anche il Tribunale di Crotone, con sentenza n. 35 del 16 gennaio 2023, ha ritenuto applicabile l’articolo 907 c.c. in ambito condominiale, a tutela del diritto di veduta da un’unità immobiliare sovrastante, anche quando la costruzione insistesse su una porzione di proprietà esclusiva.
Veduta in appiombo e strutture dotate di apprezzabile stabilità
Il concetto di “costruzione” ai fini dell’articolo 907 c.c. non si limita agli edifici in muratura. Come precisato dalla giurisprudenza, anche strutture leggere o removibili, ma dotate di stabilità apprezzabile, possono integrare la violazione del diritto di veduta.
Il Tribunale di Locri, con sentenza n. 112 del 26 febbraio 2025, ha affermato che “fabbricare” significa realizzare qualsiasi opera che, per forma, dimensioni o materiali, rappresenti un ostacolo stabile alla veduta.
La Corte di Cassazione ha qualificato come costruttive, ai fini dell’art. 907 c.c., strutture quali:
- una tettoia (Trib. Potenza 14 dicembre 2022, n. 87)
- una veranda realizzata con copertura in vetro e metallo (Cass. civ., sez. VI, 27 marzo 2014, n. 7269)
- una tenda dotata di intelaiatura ancorata al muro (Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1995, n. 5618)
- una struttura lignea saldamente agganciata al balcone sovrastante e sporgente per oltre un metro (Cass. civ., sez. VI, 23 giugno 2022, n. 20287)
- un sistema “scatolato” per tende con struttura fissa e scorrimento su binari (Cass. civ., sez. II, 21 marzo 2024, n. 7622)
La giurisprudenza è dunque concorde nel ritenere che anche manufatti diversi dai fabbricati tradizionali possono ledere la veduta in appiombo, se ne ostacolano l’esercizio in modo stabile.
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La reazione del condomino
Il condomino che si ritenga leso nel suo diritto di veduta può agire per tutelarlo in diversi modi:
Azione di riduzione in pristino
Il rimedio principale è l’azione di riduzione in pristino, con cui si chiede al giudice la rimozione della veranda o del manufatto lesivo, al fine di ripristinare lo stato precedente alla violazione. La giurisprudenza ne ha riconosciuto l’ammissibilità anche nel contesto condominiale (Cass. civ., sez. II, 19 aprile 2023, n. 10477; Cass. civ., sez. II, 20 maggio 2019, n. 13513; Trib. Civitavecchia 18 marzo 2025, n. 344).
Azione possessoria
Se la costruzione ha comportato una turbativa concreta del possesso, è possibile proporre anche un’azione possessoria, volta a ottenere la cessazione dell’interferenza e, se sussistono i presupposti, anche il risarcimento dei danni (Trib. Catanzaro 22 agosto 2023, n. 1338; App. Firenze 2 novembre 2022, n. 2433).
Azione risarcitoria
In alternativa o in aggiunta, il condomino può agire per ottenere un risarcimento del danno economico o materiale patito, specialmente se l’opera ha diminuito il valore commerciale o la fruibilità dell’immobile.
Queste azioni, cumulabili tra loro, costituiscono strumenti efficaci per ristabilire l’equilibrio tra diritti soggettivi all’interno della compagine condominiale.
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