L’usucapione tra eredi è una tematica particolarmente rilevante nella gestione dei rapporti successori.
In presenza di beni indivisi, può accadere che uno dei coeredi, mantenendo il possesso esclusivo su un bene ereditario, maturi nel tempo i presupposti per l’acquisto della proprietà a titolo originario.
La giurisprudenza ha chiarito i presupposti necessari affinché ciò avvenga, con particolare riferimento al possesso esclusivo “uti dominus” e alla sua incompatibilità con un uso condiviso del bene.
In questo articolo si analizzano gli aspetti giuridici dell’usucapione tra coeredi, alla luce delle norme codicistiche e degli orientamenti più recenti della Corte di Cassazione, con particolare riferimento all’ordinanza 3 novembre 2022, n. 32413.
Indice dei contenuti:
- Possesso esclusivo e usucapione tra eredi: i principi generali
- L’ordinanza della Cassazione n. 32413/2022 sull’usucapione tra coeredi
- Requisiti del possesso uti dominus nel contesto ereditario
- L’insufficienza dell’inerzia degli altri coeredi
- Il rilievo della coabitazione e della disponibilità delle chiavi
- Errori di diritto e motivazione nella sentenza impugnata
- Cassazione con rinvio: rilievi della Corte e nuovi accertamenti
Possesso esclusivo e usucapione tra eredi: i principi generali
L’usucapione tra eredi è regolata dagli articoli 1140, 1141 e 1144 del codice civile, che disciplinano il possesso utile ai fini dell’acquisto a titolo originario. In ambito successorio, il coerede che, dopo la morte del “de cuius”, continua a possedere un bene ereditario può maturare l’usucapione della quota degli altri coeredi.
Tuttavia, affinché ciò avvenga, è necessario che il possesso muti da “uti condominus” a “uti dominus”, cioè da semplice comproprietario a possessore esclusivo.
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che non è richiesta una vera e propria interversione del possesso, ma il coerede deve comunque estendere il possesso in termini di esclusività, in modo da renderlo incompatibile con il godimento altrui.
Non è sufficiente, in tal senso, la semplice astensione degli altri eredi dall’utilizzo del bene comune.
L’ordinanza della Cassazione n. 32413/2022 sull’usucapione tra coeredi
L’ordinanza n. 32413 del 3 novembre 2022 della Corte di Cassazione ha ribadito i principi appena richiamati, nel contesto di un giudizio avente ad oggetto l’usucapione promossa da una coerede. Il caso trae origine dalla domanda proposta da M.G. dinanzi al Tribunale di Gaeta nei confronti di P.M.R. e P.G., avente ad oggetto alcuni beni pervenuti ai convenuti per successione ereditaria in seguito al decesso di C.R.M.
La Corte d’appello di Roma, confermando la decisione di primo grado, aveva accolto la domanda ritenendo provato il possesso esclusivo della M. sui beni ereditari. Tuttavia, tale ricostruzione è stata oggetto di ricorso per cassazione.
Requisiti del possesso uti dominus nel contesto ereditario
Il ricorso ha sollevato, tra gli altri, la violazione degli artt. 1140, 1141, 1144 e 2697 c.c., nonché dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., lamentando la mancata verifica dei presupposti del possesso esclusivo richiesto per l’usucapione tra coeredi. Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, richiamato anche dalla Corte, il coerede deve godere del bene in modo esclusivo, con modalità che manifestino un’inequivoca volontà di tenere il bene come proprio, cioè “uti dominus”, non più “uti condominus”.
In questo senso, è richiesto un comportamento positivo che segnali chiaramente l’intenzione di possedere il bene come proprietario esclusivo e che escluda, in modo manifesto e oggettivo, ogni forma di partecipazione degli altri coeredi.
L’insufficienza dell’inerzia degli altri coeredi
La Corte ha sottolineato come l’astensione degli altri coeredi dall’uso del bene non sia sufficiente per configurare un possesso esclusivo. In altri termini, il fatto che gli altri eredi non esercitino concretamente il possesso non comporta automaticamente che il coerede presente possa usucapire la quota altrui.
È necessario che il possesso si manifesti con modalità incompatibili con un uso comune, come, ad esempio, l’esercizio esclusivo di poteri dispositivi, la gestione autonoma del bene, la percezione esclusiva dei frutti e l’esclusione concreta degli altri.
Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata non avesse accertato in modo adeguato le circostanze concrete che avrebbero consentito di qualificare il possesso come esclusivo.
Il rilievo della coabitazione e della disponibilità delle chiavi
Un altro profilo di rilievo riguarda la valutazione della coabitazione con il de cuius e della disponibilità delle chiavi dell’immobile. La Corte ha affermato che tali elementi, di per sé, non costituiscono indizi sufficienti di possesso esclusivo. La mera permanenza nell’immobile dopo la morte del de cuius, eventualmente per ragioni di assistenza o coabitazione familiare, può essere compatibile con una situazione di detenzione o di uso tollerato, e non necessariamente con un possesso esclusivo.
La M., secondo quanto dedotto nel ricorso, era stata protutore di P.R. per oltre quattro anni, circostanza che avrebbe giustificato la sua presenza e gestione del bene per ragioni diverse dal possesso “uti dominus”.
Errori di diritto e motivazione nella sentenza impugnata
La Corte ha ritenuto fondato il ricorso in quanto la motivazione della sentenza impugnata era carente sotto il profilo del necessario accertamento delle modalità concrete del possesso esclusivo. I giudici di merito si erano limitati a richiamare genericamente l’esercizio del possesso da parte della M. sin dalla morte dei genitori, senza verificare se tale condotta escludesse in modo inequivocabile ogni forma di partecipazione o tolleranza da parte degli altri coeredi.
È stato quindi rilevato un travisamento dei fatti e una motivazione omessa su un fatto decisivo per il giudizio, ossia la concreta modalità di esercizio del possesso in senso esclusivo.
Cassazione con rinvio: rilievi della Corte e nuovi accertamenti
Alla luce delle considerazioni esposte, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza impugnata. Il giudizio è stato rinviato alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo esame della vicenda, tenendo conto dei principi giurisprudenziali consolidati in materia di usucapione tra coeredi.
In particolare, i giudici di rinvio dovranno accertare in modo puntuale:
- se il possesso esercitato dalla M. sia stato effettivamente esclusivo,
- se siano ravvisabili comportamenti idonei a configurare un possesso “uti dominus”,
- se vi siano state forme di esclusione concreta degli altri coeredi dall’utilizzo dei beni,
- e se il possesso abbia avuto i requisiti di continuità e non interruzione richiesti dagli artt. 1140 e ss. c.c.
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