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La separazione consensuale è un procedimento giuridico che permette ai coniugi di separarsi di comune accordo, definendo insieme le condizioni economiche e l’affidamento dei figli.

Questo tipo di separazione si basa su un accordo che i coniugi raggiungono nell’ambito della loro capacità di agire e dell’autonomia privata di cui dispongono.

Tale accordo, tuttavia, diventa efficace solo dopo una verifica giudiziaria (c.d. omologazione) che accerti che l’intesa non contrasti con le norme inderogabili, soprattutto in riferimento ai diritti e gli interessi della prole.

Rispetto alla separazione giudiziale, che prevede un contenzioso legale, la separazione consensuale costituisce un percorso più rapido e meno conflittuale. I coniugi, infatti, possono ricorrere a questo tipo di procedimento solo quando riescono a trovare un accordo su tutti gli aspetti rilevanti: dai diritti patrimoniali all’eventuale assegno di mantenimento in favore di un coniuge e/o dei figli, dall’affidamento dei figli al loro collocamento, e su ogni altra questione che necessita di regolamentazione.

Non sempre, però, è facile pervenire a un accordo consensuale, soprattutto quando sono coinvolti aspetti complessi o vi è la difficoltà di trovare un’intesa tra due persone che hanno intrapreso strade diverse nella propria vita personale e sentimentale.

È importante notare che la separazione consensuale può essere raggiunta, oltre che tramite ricorso all’Autorità Giudiziaria, anche attraverso la procedura di negoziazione assistita, una soluzione alternativa che coinvolge gli avvocati delle parti nel raggiungimento di un accordo senza la necessità di rivolgersi al giudice.

In questo articolo esamineremo nel dettaglio gli aspetti principali relativi alla separazione consensuale, tra cui: affidamento dei figli, assegno di mantenimento, casa coniugale, aspetti fiscali e successori.

Indice dei contenuti:

Separazione consensuale: cos’è

La separazione consensuale è un istituto giuridico che permette ai coniugi di sospendere consensualmente effetti civili del matrimonio e le obbligazioni reciproche derivanti dal vincolo coniugale (salve alcune eccezioni).

A differenza della separazione giudiziale, che consegue a seguito di una vera e propria causa legale presso il tribunale, la separazione consensuale si fonda sul raggiungimento di un accordo tra i coniugi avente ad oggetto le condizioni della separazione, quali: gli aspetti patrimoniali, l’assegno di mantenimento per la prole e/o per uno dei coniugi, l’affidamento dei figli, l’assegnazione della casa familiare ecc.

Come già anticipato, l’accordo raggiunto dai coniugi per acquisire efficacia dovrà essere omologato dal Tribunale (se incardinato con ricorso congiunto) oppure dovrà riceve il nulla osta / autorizzazione da parte del del Procuratore della Repubblica, nel caso in cui la separazione consensuale sia stata raggiunta all’esito della procedura di negoziazione assistita.

Resta comunque fermo che, a prescindere dalla procedura scelta, la separazione consensuale conduce sempre ai medesimi effetti.

La separazione consensuale può essere ricomposta attraverso la riconciliazione dei coniugi o, al contrario, può condurre allo scioglimento del vincolo matrimoniale (o cessazione degli effetti civili in caso di matrimonio Concordatario) tramite il divorzio.

Come sopra osservato, la separazione consensuale può essere raggiunta tramite diverse procedure, che, pur essendo differenti tra loro, producono gli stessi effetti giuridici.

Le procedure di separazione consensuale

Le procedure con cui si può concludere una separazione consensuale sono:

  • Ricorso congiunto al Tribunale: i coniugi, presentano congiuntamente un ricorso al Tribunale competente, con l’assistenza di un unico avvocato per entrambi o di un avvocato per ciascuna parte. La separazione diviene efficacie a seguito di sentenza di omologazione (art. 473-bis 51 c.p.c.)
  • Conversione di una separazione giudiziale in consensuale: qualora i coniugi raggiungano l’accordo durante la prima udienza davanti al Giudice Relatore (ex Udienza Presidenziale), la separazione giudiziale può essere convertita in separazione consensuale.
  • Negoziazione assistita: introdotta dall’art. 6 del Decreto-Legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito in Legge n. 162/2014, consente ai coniugi di negoziare le condizioni di separazione con l’assistenza obbligatoria dei rispettivi avvocati, senza la necessità di ricorrere al giudice.
  • Procedura presso l’Ufficio Comunale dello Stato civile: possibile solo se non vi sono figli minorenni, figli maggiorenni non autosufficienti o con disabilità, e se dalla separazione non conseguono attribuzioni patrimoniali. In questo caso, non è necessaria l’assistenza di un avvocato.

Un elemento distintivo della separazione consensuale è l’impossibilità di attribuire un addebito di colpa a uno dei coniugi.

Come previsto dall’art. 473 bis 51 del codice di procedura civile (a seguito della c.d. Riforma Cartabia) qualora le condizioni pattuite risultino inadeguate o in contrasto con l’interesse dei figli, il giudice (Collegio) convoca i coniugi per proporre modifiche e, in mancanza di adeguamenti, rifiuta l’omologazione della separazione.

Pertanto, la separazione consensuale, grazie alla sua natura collaborativa e alle diverse modalità procedurali previste dalla legge, rappresenta una soluzione più rapida e meno conflittuale rispetto alla separazione giudiziale, contribuendo anche a ridurre il carico di lavoro dei tribunali.

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Gli effetti della separazione consensuale

La separazione consensuale tra coniugi, sebbene non equivalga alla fine definitiva del matrimonio (che si realizza con il divorzio), comporta significativi cambiamenti nelle loro relazioni personali, patrimoniali e giuridiche. La separazione comporta la sospensione di alcuni diritti e doveri matrimoniali, mantenendo tuttavia alcuni obblighi fondamentali, specialmente verso i figli. Gli effetti della separazione consensuale si manifestano in vari ambiti, che vengono analizzati di seguito.

Regime patrimoniale

Uno degli effetti più rilevanti della separazione consensuale è la modifica del regime patrimoniale dei coniugi. A seguito della separazione consensuale, si scioglie la comunione legale dei beni (art. 191 c.c.), se questa era il regime patrimoniale prescelto.

Ciò significa che i beni precedentemente acquistati in regime di comunione legale durante il matrimonio passano al regime di comunione ordinaria e ciascun coniuge può chiederne la divisione in ogni momento (salvo accordi presi direttamente in sede di separazione).

Tramite accordo i coniugi possono prevedere la divisione dei beni comuni, l’acquisto della quota da parte di un coniuge, il trasferimento ai figli o la previsione di eventuali indennità compensative.

Un punto spesso delicato riguarda l’assegnazione della casa coniugale, a prescindere dalla titolarità del diritto di proprietà. Se vi sono figli minori o maggiorenni non autosufficienti, la casa familiare viene, di regola, assegnata al genitore presso il quale i figli sono prevalentemente collocati, in base al loro interesse, come previsto dall’art. 337-sexies del codice civile.

Qualora non vi siano figli o essi siano economicamente autosufficienti, la proprietà della casa seguirà le regole generali del diritto, rimanendo al coniuge proprietario o, in caso di comproprietà, sottoposta a eventuali accordi di divisione o alla decisione del giudice in caso di disaccordo.

Convivenza e fedeltà

Dal punto di vista dei rapporti personali, la separazione consensuale segna la fine dell’obbligo di convivenza e fedeltà tra i coniugi.

Raggiunta la separazione, i coniugi non sono più tenuti a vivere insieme e viene meno il dovere di fedeltà reciproca, previsto dall’art. 143 c.c. Ciascun coniuge può quindi stabilire una nuova residenza e non è più vincolato a dover coabitare con l’altro. Inoltre, viene meno il dovere di assistenza morale e collaborazione reciproca, eccetto che nei confronti dei figli.

Tuttavia, il dovere di assistenza materiale può rimanere, trasformandosi nel diritto del coniuge economicamente più debole di ricevere un assegno di mantenimento, stabilito di comune accordo dai coniugi.

Questo obbligo di assistenza economica può permanere anche in caso di nuova convivenza more uxorio del coniuge beneficiario, se ritenuto necessario per garantire un equilibrio economico tra le parti.

Doveri verso i figli

La separazione consensuale non comporta l’eliminazione dei doveri dei genitori verso i figli. In base all’art. 337-ter del Codice civile, i figli hanno diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, ricevendo da ciascuno di essi cura, educazione, istruzione e assistenza morale.

La regola generale è quella dell’affidamento condiviso, che prevede che entrambi i genitori partecipino alle decisioni di maggiore importanza per la vita dei figli, come quelle relative alla salute, all’istruzione e alla residenza.

I genitori separati devono quindi collaborare per determinare le modalità di permanenza dei figli presso ciascuno di loro, pur avendo la possibilità di stabilire una prevalenza abitativa per motivi pratici o nell’interesse del minore.

Solo in casi eccezionali, come quelli di comprovata inidoneità di un genitore o di condotte gravemente pregiudizievoli, può essere disposto l’affidamento esclusivo a un solo genitore (art. 337-quater c.c.). In tali casi, il giudice interviene direttamente per tutelare l’interesse superiore del minore.
Il mantenimento economico dei figli, che comprende le spese ordinarie e straordinarie per il loro sostentamento, istruzione e cura, deve essere garantito da entrambi i genitori proporzionalmente alle rispettive capacità economiche. In caso di disaccordo sulla quantificazione o sulle modalità di pagamento, sarà il giudice a stabilire gli importi e le modalità applicative (per approfondimento sul tema si rinvia al successivo paragrafo “Assegno di mantenimento ai figli”).

Successione ereditaria

Un aspetto peculiare della separazione, consensuale o giudiziale, riguarda i diritti successori tra i coniugi. Ai sensi dell’art. 585 c.c., infatti, in mancanza di addebito (impossibile nella separazione consensuale), i coniugi conservano reciprocamente i medesimi diritti di successione previsti in costanza di matrimonio (la separazione, infatti, non comporta il venir meno del vincolo coniugale).

Da ciò dipende che, qualora uno dei coniugi separati venga a mancare, l’altro conserva il diritto a ricevere l’eredità, come previsto dalle norme generali sulla successione legittima (artt. 536 e seguenti del codice civile) e, secondo la tesi prevalente, non perde neppure lo status di legittimario.

Al contrario, se la separazione giudiziale è stata pronunciata con addebito a carico di uno dei coniugi, quest’ultimo perde ogni diritto successorio nei confronti dell’altro coniuge, ad eccezione del diritto a un assegno vitalizio da parte degli eredi, se già percepiva un assegno di mantenimento.

In ogni caso, il coniuge superstite ha diritto al trattamento di fine rapporto (TFR), alla pensione di reversibilità ed all’indennità di mancato preavviso.

Separazione consensuale con ricorso congiunto presso il Tribunale

Con la c.d. Riforma Cartabia, la procedura di separazione consensuale tramite ricorso congiunto presso il Tribunale è disciplinata dall’art. 473-bis.51 c.p.c.

Il Tribunale competente è quello del luogo di residenza o domicilio di uno dei coniugi. Il ricorso deve essere sottoscritto da entrambe le parti e includere dettagli sulle disponibilità reddituali e patrimoniali degli ultimi tre anni, sulle condizioni economiche e sulla gestione dei figli.

È necessario, inoltre, produrre documentazione relativa alle dichiarazioni dei redditi, la titolarità di beni immobili e mobili registrati, e gli estratti conto bancari degli ultimi tre anni.

In presenza di figli minori, il ricorso deve inoltre includere un piano genitoriale che specifichi gli impegni quotidiani dei figli, dalle attività scolastiche a quelle extrascolastiche.

Le parti possono richiedere di evitare la comparizione in Tribunale, optando per la presentazione di note scritte, dichiarando espressamente la volontà di non riconciliarsi.

Una volta depositato il ricorso, il Presidente del Tribunale fissa un’udienza finalizzata all’ascolto delle parti innanzi al Giudice Relatore. Il Pubblico Ministero deve esprimere il suo parere tre giorni prima dell’udienza.

Se il giudice rileva che gli accordi proposti sono nell’interesse di tutte le parti, emette una sentenza di omologazione. In caso contrario, il giudice può richiedere modifiche agli accordi o rigettare la domanda se ritenuta non idonea.

Per approfondire il tema della separazione consensuale con unico avvocato ti invito a leggere anche questo articolo Separazione consensuale avvocato unico: una guida rapida

Separazione consensuale tramite negoziazione assistita

La separazione consensuale tramite negoziazione assistita è una procedura introdotta dalla Legge n. 162/2014 che permette ai coniugi di separarsi senza ricorrere al tribunale, semplificando e accelerando i tempi della separazione.

Questa modalità prevede che i coniugi, con l’assistenza necessaria dei propri avvocati, negozino un accordo sui termini della separazione, compresa la gestione dei rapporti economici e familiari post-separazione, come l’affidamento dei figli, l’assegnazione della casa coniugale ed eventuali assegni di mantenimento

Il primo passo della procedura è l’invio, da parte di uno degli avvocati, di una lettera all’altro coniuge per proporre la stipula di una convenzione di negoziazione, che definisce le modalità e i tempi degli incontri. La negoziazione deve durare almeno un mese e non può superare i tre mesi, salvo un’eventuale proroga di ulteriori 30 giorni concordata tra le parti.

Se le parti raggiungono un accordo durante le negoziazioni, questo viene formalizzato e firmato da entrambi i coniugi e dai loro avvocati, e depositato presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale per l’ottenimento del “nulla osta” (in assenza di figli minori) o di “autorizzazione” (in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti).

L’accordo sottoscritto diventa giuridicamente vincolante e, una volta trascritto presso l’Ufficio dello Stato Civile, produce gli stessi effetti di una sentenza di separazione emessa dal tribunale.

In questo modo, i coniugi possono evitare ulteriori conflitti e controversie, poiché la disciplina definita nell’accordo deve essere rispettata sotto pena di sanzioni.

Nel caso in cui l’accordo non venga raggiunto, la procedura si conclude senza successo e i coniugi possono optare per una separazione giudiziale, che richiede l’intervento di un giudice.

La negoziazione assistita, pertanto, rappresenta una soluzione vantaggiosa per le coppie che desiderano separarsi in modo rapido, consensuale e senza i costi emotivi e finanziari di una causa giudiziale.

Separazione consensuale in Comune

Una ulteriore procedura di separazione consensuale è prevista dall’art. 12 della legge 162/2014 che ammette, in particolari circostanza, di ottenere una separazione consensuale dinanzi al sindaco (o ad un suo delegato) in qualità di Ufficiale dello stato Civile, con l’assistenza facoltativa di uno o più avvocati.

Tale opzione è riservata soltanto in presenza dei seguenti requisiti:

  • il matrimonio è stato celebrato in forma civile o in forma religiosa;
  • se il matrimonio è stato celebrato all’estero è stato trascritto nei registri dello stato civile italiano;
  • i separandi non devono avere figli minori di età, maggiorenni portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti;
  • non è intenzione dei separandi di includere nell’accordo trasferimenti immobiliari.

Assegno di mantenimento ai figli

L‘assegno di mantenimento ai figli è previsto per garantire che i bisogni e il tenore di vita dei figli siano adeguatamente coperti anche dopo la separazione dei genitori. La normativa di riferimento si trova nel comma 4° dell’articolo 337-ter del Codice civile, che stabilisce le linee guida per la determinazione di tale obbligo.

Casi in cui è previsto l’assegno di mantenimento ai figli

L’assegno di mantenimento ai figli in caso di separazione è un obbligo giuridico che entrambi i genitori devono rispettare, indipendentemente dalle modalità di collocamento dei figli.

Anche nel caso di collocamento paritario, dove i figli trascorrono tempi equivalenti presso ciascun genitore, il genitore con reddito superiore è chiamato a contribuire economicamente all’altro genitore per il mantenimento dei figli. Inoltre, l’obbligo di mantenimento permane anche verso i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, purché la mancata autonomia finanziaria non dipenda da una colpevole inerzia ovvero da ingiustificato rifiuto di accettare opportunità lavorative adeguate.

Criteri di calcolo dell’assegno di mantenimento in favore dei figli

Il calcolo dell’assegno di mantenimento si basa su diversi criteri:

  • Esigenze attuali del figlio: le necessità specifiche e immediate del figlio, inclusi alimentazione, istruzione, salute e attività extrascolastiche.
  • Tenore di vita precedente: il livello di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori, che serve come riferimento per mantenere uno standard simile anche dopo la separazione.
  • Tempi di permanenza presso ciascun genitore: la quantità di tempo che il figlio trascorre con ciascun genitore influisce sul contributo economico di ciascuno.
  • Risorse economiche di entrambi i genitori: i redditi e le risorse finanziarie complessive di ciascun genitore, che determinano la proporzione del contributo economico da fornire.
  • Valenza economica dei compiti domestici e di cura: l’importanza economica dei compiti di cura e delle attività domestiche svolte da ciascun genitore, che può influenzare l’ammontare dell’assegno.

Finalità dell’assegno di mantenimento in favore dei figli

La finalità principale dell’assegno di mantenimento è assicurare che i figli possano mantenere un tenore di vita comparabile a quello che avevano durante la vita familiare congiunta. L’assegno è progettato per coprire tutte le necessità quotidiane dei figli e garantire il soddisfacimento delle loro esigenze di vita. Questo contributo economico è essenziale per evitare che la separazione influisca negativamente sul benessere e sulle opportunità dei figli.

In sintesi, l’assegno di mantenimento ai figli ha lo scopo di mantenere la stabilità economica e il benessere dei figli dopo la separazione dei genitori, garantendo che possano continuare a godere di un tenore di vita simile a quello preesistente e vedendo assicurati i loro bisogni fondamentali.

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Assegno di mantenimento al coniuge

L’assegno di mantenimento al coniuge è una misura economica prevista dalla legge per garantire un sostegno al coniuge economicamente più debole in seguito alla separazione.

Questo assegno può essere stabilito dai coniugi stessi in sede di separazione consensuale o determinato dal giudice su richiesta di una delle parti.

Funzione dell’assegno di mantenimento al coniuge

L’assegno di mantenimento ha principalmente una funzione assistenziale e perequativa:

  • Assistenziale: fornisce un sostegno economico al coniuge che, dopo la separazione, si trova in una condizione di difficoltà economica. L’obiettivo è quello di assicurare una continuità, per quanto possibile, del sostegno economico che il coniuge debole riceveva in costanza di convivenza matrimoniale.
  • Perequativa: non mira a ricostituire il tenore di vita precedente al matrimonio, ma piuttosto a riconoscere il contributo dato dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio familiare e personale durante il matrimonio.

È importante sottolineare che l’assegno di mantenimento non ha funzione compensativa (non intende ricompensare i sacrifici fatti durante il matrimonio) né risarcitoria (non è volto a compensare per i danni subiti dalla cessazione del matrimonio).

Presupposti per l’erogazione dell’assegno di mantenimento al coniuge

L’assegno di mantenimento non è automatico; per ottenerlo, devono essere soddisfatti alcuni presupposti specifici, secondo l’articolo 156 del Codice civile:

  1. Assenza di addebito: il coniuge richiedente non deve essere ritenuto responsabile della separazione. L’addebito della separazione avviene quando uno dei coniugi è riconosciuto colpevole di comportamenti che hanno causato la crisi coniugale.
  2. Condizione economica deteriore: il coniuge richiedente deve trovarsi in una situazione economica inferiore rispetto all’altro coniuge e non deve avere redditi propri adeguati a mantenere un livello di vita dignitoso.
  3. Capacità economica del coniuge obbligato: l’altro coniuge deve disporre delle risorse economiche necessarie per poter versare l’assegno di mantenimento. La capacità di pagamento del coniuge onerato deve essere valutata considerando il reddito netto e non quello lordo.

Criteri di calcolo dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge

Nel calcolo dell’assegno di mantenimento, le parti (o il giudice in caso di separazione giudiziale) devono considerare una serie di fattori per determinare un importo adeguato:

  • Durata del matrimonio: maggiore è la durata del matrimonio, maggiore è il peso di questo elemento nel determinare l’ammontare dell’assegno, sebbene l’assegno possa essere riconosciuto anche per matrimoni di breve durata.
  • Potenzialità reddituali: si valuta la capacità del coniuge richiedente di inserirsi nel mercato del lavoro, considerando età, qualifiche professionali e contesto socio-economico. Se il coniuge ha la possibilità concreta di trovare un lavoro adeguato, l’assegno potrebbe non essere dovuto.
  • Età e stato di salute: fattori come l’età del coniuge e il suo stato di salute sono cruciali nella valutazione della sua capacità di procurarsi un reddito.
  • Tenore di vita durante il matrimonio: sebbene il tenore di vita goduto durante il matrimonio sia un criterio rilevante, non è più l’unico parametro determinante. La valutazione deve includere anche il contributo fornito dal coniuge richiedente alla vita familiare, il patrimonio accumulato e le spese sostenute durante la convivenza.
  • Redditi e patrimonio di entrambi i coniugi: devono essere considerate le risorse economiche complessive di entrambi i coniugi, inclusi redditi, proprietà, investimenti e altre fonti di guadagno.

Diritti patrimoniali disponibili

È importante notare che l’assegno di mantenimento al coniuge rientra tra i diritti patrimoniali disponibili. Questo significa che, in caso di separazione consensuale, i coniugi sono liberi di determinare autonomamente l’importo e le modalità di erogazione dell’assegno. Il giudice, in tali casi, si limita a omologare l’accordo senza entrare nel merito della sussistenza dei presupposti legali per l’erogazione dell’assegno.

L’assegnazione della casa coniugale

L’assegnazione della casa coniugale è una delle questioni più delicate che sorgono in caso di separazione, poiché riguarda la preservazione dell’ambiente domestico per i figli minori.

Per “casa coniugale” o “casa familiare” si intende l’immobile dove la famiglia ha vissuto stabilmente e che rappresenta il centro degli interessi affettivi e materiali del nucleo familiare.

Criteri di Assegnazione della Casa Coniugale

L’art. 337-sexies del Codice civile sancisce che l’assegnazione della casa coniugale è disposta tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Lo scopo è quello di garantire loro la continuità dell’ambiente domestico, elemento fondamentale per una crescita serena e per attenuare il trauma della separazione dei genitori.

Pertanto, il coniuge collocatario dei figli (ossia il genitore con cui i figli risiedono stabilmente) è generalmente quello a cui viene assegnata la casa coniugale.

Nel caso in cui non vi siano figli, la casa coniugale rimane nella disponibilità del coniuge che ne è proprietario. Se entrambi i coniugi sono comproprietari dell’immobile, la regolamentazione del godimento della casa dovrà far parte degli accordi raggiunti in sede di separazione consensuale.

La giurisprudenza è chiara nell’affermare che, in mancanza di prole, il giudice non possa disporre l’assegnazione della casa al coniuge economicamente più debole, il quale, tuttavia, potrà ottenere un adeguato assegno di mantenimento per riequilibrare la situazione economica e patrimoniale.

Se l’immobile è di proprietà di un terzo (ad esempio, un genitore di uno dei coniugi), l’assegnazione può essere possibile solo in determinate condizioni. La Corte di Cassazione ha più volte affermato che, in caso di comodato d’uso a termine (contratto che prevede una data di scadenza), l’assegnatario dovrà restituire l’immobile alla scadenza del contratto. Se, invece, il contratto di comodato non prevede una data precisa di restituzione, l’assegnazione può continuare finché persistono le esigenze abitative della famiglia, anche in caso di separazione.

Trascrizione dell’assegnazione e opponibilità a terzi

Una volta stabilita l’assegnazione della casa coniugale, questa può essere trascritta nei Registri Immobiliari. La trascrizione è importante in quanto rende l’assegnazione opponibile ai terzi.

In assenza di trascrizione, tuttavia, l’assegnazione rimane opponibile a terzi per un periodo massimo di nove anni. Questo significa che un eventuale acquirente dell’immobile o un creditore del proprietario non possono chiedere il rilascio della casa da parte del coniuge assegnatario fino a quando non siano trascorsi nove anni dalla data dell’assegnazione, anche se essa non è stata trascritta.

Quando si perde il diritto all’assegnazione della casa coniugale

Il diritto all’assegnazione della casa coniugale può essere revocato o cessare in determinate circostanze:

  1. Venuta meno dell’interesse dei figli: se i figli diventano maggiorenni e autosufficienti o se si trasferiscono stabilmente altrove, l’assegnazione può essere revocata poiché viene meno la ragione fondamentale dell’assegnazione stessa.
  2. Nuova convivenza o matrimonio del coniuge assegnatario: se il coniuge assegnatario inizia una nuova convivenza stabile o si risposa, l’assegnazione della casa può essere revocata in quanto si presume che l’esigenza abitativa del nuovo nucleo familiare possa essere soddisfatta in altro modo.
  3. Mutamento delle condizioni economiche: in caso di significativo miglioramento delle condizioni economiche del coniuge assegnatario o di peggioramento di quelle dell’altro coniuge, il giudice può decidere di modificare o revocare l’assegnazione.

In sintesi, l’assegnazione della casa coniugale rappresenta una misura volta a tutelare principalmente gli interessi dei figli minori. La sua regolamentazione tiene conto di vari fattori, tra cui la proprietà dell’immobile, la situazione economica dei coniugi e le esigenze del nucleo familiare, con particolare riguardo alla stabilità e alla continuità dell’ambiente domestico e sociale per i figli.

Alcuni aspetti fiscali relativi alla separazione

Nel contesto della separazione coniugale, la normativa fiscale italiana prevede alcune disposizioni particolari in materia di trasferimenti immobiliari e assegni di mantenimento che possono offrire vantaggi fiscali sia per il coniuge obbligato al pagamento, sia per il beneficiario.

Trasferimenti immobiliari in sede di separazione

In caso di separazione o divorzio, i trasferimenti immobiliari effettuati tra coniugi per la composizione dei rapporti patrimoniali sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa, come stabilito dall’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

La Corte di Cassazione ha esteso questa esenzione anche agli atti relativi alla separazione personale dei coniugi, inclusi i trasferimenti di proprietà immobiliari a favore dei figli, purché finalizzati alla composizione dei rapporti patrimoniali della famiglia.

È importante notare che tali trasferimenti devono essere inclusi espressamente negli atti della separazione consensuale per poter beneficiare della completa detassazione.

Deducibilità dell’assegno di mantenimento per il coniuge onerato

L’assegno di mantenimento versato da un coniuge all’altro, al fine di contribuire al mantenimento di quest’ultimo, è interamente deducibile dal reddito imponibile del coniuge obbligato. Questo comporta un vantaggio fiscale significativo per chi versa l’assegno, riducendo l’imponibile su cui calcolare l’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche).

Tassazione dell’assegno di mantenimento per il coniuge beneficiario

Dal lato del beneficiario, l’assegno di mantenimento rappresenta un reddito soggetto a tassazione IRPEF. Infatti, le somme percepite a questo titolo sono considerate una risorsa che il coniuge beneficiario può utilizzare per soddisfare i propri bisogni personali. Pertanto, il coniuge che riceve l’assegno deve dichiararlo nel proprio reddito imponibile e pagare le imposte corrispondenti.

Avvocato separazione – Studio Legale Paccosi

Lo Studio legale dell’avvocato Alessandro Paccosi si occupa di tutte le questioni relative al diritto di famiglia e, in particolare per quanto riguarda separazioni consensuali, giudiziali e divorzi.

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