Restituzione somme al momento della successione | Tribunale di Roma chiarisce l’azione di petizione

La sentenza n. 1797/2025 del Tribunale di Roma affronta una complessa vicenda successoria, incentrata sull’azione di restituzione di somme sottratte da un coerede prima dell’apertura della successione.

Il Tribunale, rigettando le domande attoree, chiarisce i limiti dell’azione di petizione ereditaria ex art. 533 c.c. e ribadisce importanti principi in materia di gestione dei conti correnti del de cuius, delega bancaria, liberalità tra cugini ed esclusione della collazione.

Di seguito, un’analisi giuridica completa della decisione.

Indice dei contenuti:

  • La gestione del patrimonio del de cuius da parte del coerede
  • Le domande attoree e i presupposti dell’azione
  • La qualificazione giuridica della domanda: art. 533 c.c. e limiti di applicabilità
  • L’irrilevanza della collazione tra cugini
  • La delega bancaria e la validità degli atti dispositivi
  • Il principio di libera disponibilità del patrimonio e l’assenza di impugnazioni
  • Le conseguenze processuali: rigetto della domanda e condanna alle spese

La gestione del patrimonio del de cuius da parte del coerede

La parte attrice ha agito in giudizio quale erede testamentario, invocando due testamenti olografi, entrambi datati 2 aprile 1996 e pubblicati successivamente, con i quali la defunta cugina disponeva in favore dei due cugini, in parti uguali, sia del patrimonio mobiliare costituito da titoli, quote e conto corrente, sia di un immobile.

A seguito di un evento ischemico occorso alla de cuius, quest’ultima era rimasta inferma con ridotte capacità cognitive, mentre il coerede convenuto aveva assunto il controllo esclusivo dell’amministrazione dei beni, in forza di una delega bancaria.

L’attore ha rilevato, tramite accesso agli estratti conto, numerosi prelievi ingiustificati e trasferimenti di somme sul conto del convenuto, sostenendo che tale condotta avesse comportato un depauperamento del patrimonio della de cuius e rivendicando la restituzione della metà delle somme illecitamente sottratte, in qualità di coerede testamentario.

Le domande attoree e i presupposti dell’azione

Nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., l’attore ha chiesto:

  • L’accertamento, anche tramite CTU contabile, della gestione patrimoniale del conto corrente bancario n. 528881 dal 2 agosto 2004 al 31 dicembre 2014;
  • La ricostruzione del saldo contabile che sarebbe spettato alla de cuius in assenza di prelievi ingiustificati;
  • La condanna del convenuto alla restituzione della metà della somma illegittimamente prelevata, pari ad euro 73.741,98, oltre rivalutazione ed interessi dalla data di pubblicazione del testamento.

Il convenuto ha contestato integralmente le domande, rilevando, tra l’altro, l’inammissibilità di un’azione di collazione tra cugini e l’assenza di una previa domanda di divisione ereditaria, oltre a eccepire l’avvenuta modifica della domanda in violazione dell’art. 183 c.p.c.

La qualificazione giuridica della domanda: art. 533 c.c. e limiti di applicabilità

Il Tribunale ha ritenuto correttamente formulata la domanda, rilevando che i fatti costitutivi erano già chiaramente esposti nell’atto introduttivo.

Tuttavia, ha rigettato la domanda nel merito, chiarendo che l’azione esercitata dall’attore non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 533 c.c., norma che disciplina l’azione di petizione ereditaria.

In particolare, il Giudice ha affermato che l’azione ex art. 533 c.c. consente all’erede di reclamare beni facenti parte dell’asse ereditario, detenuti da terzi senza titolo successorio.

Tuttavia, tale azione non può estendersi a somme di denaro che il de cuius abbia disposto anteriormente al decesso, mediante atti formalmente validi, compiuti da un soggetto delegato.

Nel caso di specie, gli importi contestati erano stati prelevati dal conto della de cuius prima dell’apertura della successione, e quindi non costituivano beni ereditari suscettibili di rivendicazione ai sensi dell’art. 533 c.c.

L’irrilevanza della collazione tra cugini

Il convenuto ha eccepito l’inammissibilità della domanda, ove intesa come azione di collazione, ai sensi degli artt. 737 ss. c.c.

Il Tribunale ha implicitamente confermato tale eccezione, in quanto la collazione tra coeredi presuppone il vincolo di stretta parentela previsto dall’art. 737 c.c., applicabile solo tra discendenti, ascendenti e coniuge del de cuius.

Poiché le parti erano cugini, e quindi eredi testamentari non legittimari, nessun obbligo di collazione poteva essere configurato, né la domanda poteva essere ricondotta sotto questa fattispecie.

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La delega bancaria e la validità degli atti dispositivi

Altro elemento dirimente, sottolineato nella motivazione, è la natura della delega bancaria.

Gli atti impugnati sono stati compiuti dal convenuto nella qualità di delegato ad operare sul conto della de cuius. In tal senso, essi devono considerarsi imputabili direttamente alla de cuius, salvo prova contraria.

Il Giudice ha evidenziato che gli atti dispositivi di somme effettuati in vita dalla de cuius sono da considerarsi espressione della libertà negoziale del disponente, anche ove si tratti di liberalità, purché non ne sia contestata la validità sotto profili come il vizio della volontà (errore, violenza, dolo) o l’incapacità naturale o legale.

Il principio di libera disponibilità del patrimonio e l’assenza di impugnazioni

Non essendo stata formulata in giudizio alcuna specifica impugnazione degli atti dispositivi – ad esempio per incapacità della de cuius o per vizio del consenso – il Tribunale ha ritenuto che gli atti compiuti tramite il delegato rientrassero nella piena libertà dispositiva della titolare del conto.

La stessa eventuale liberalità, in assenza di eredi legittimari, sarebbe comunque inoppugnabile per legge.

La sentenza, pertanto, rafforza il principio secondo cui l’erede testamentario non può rimettere in discussione la gestione del patrimonio del de cuius in vita, se non attraverso puntuali impugnative fondate su elementi di invalidità o inefficacia giuridica.

Le conseguenze processuali: rigetto della domanda e condanna alle spese

In ragione della natura delle somme oggetto di lite, della validità degli atti dispositivi e della carenza di impugnazioni specifiche, il Tribunale ha rigettato integralmente la domanda attorea.

La parte attrice è stata condannata al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 9.000,00 oltre accessori di legge, nonché al pagamento delle spese di consulenza tecnica d’ufficio, in quanto soccombente.

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