La prova testimoniale rappresenta uno degli strumenti principali attraverso cui il giudice può ricostruire i fatti controversi in un processo civile.
Tuttavia, la sua ammissibilità è rigorosamente disciplinata dal codice di procedura civile e dal codice civile, che prevedono numerosi limiti volti a garantire l’affidabilità e la precisione delle dichiarazioni rese dai testimoni.
In questo articolo analizzeremo la nozione giuridica di testimonianza, le modalità della sua assunzione e i casi in cui la prova testimoniale è ammessa o esclusa.
Indice dei contenuti
- Nozione di prova testimoniale e normativa di riferimento
- Modalità di assunzione della prova testimoniale
- Oggetto della testimonianza: cosa può essere provato
- Ammissibilità della prova testimoniale nei contratti
- Limiti legali ex art. 2721 c.c.
- Ipotesi di deroga ex art. 2724 c.c.
- Prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari a un documento
- Contratti con forma scritta richiesta ad substantiam o ad probationem
- Prova testimoniale in materia di pagamento e remissione del debito
- L’eccezione di inammissibilità: rilievo su istanza di parte
Nozione di prova testimoniale e normativa di riferimento
Ai sensi dell’art. 251 del codice di procedura civile, la testimonianza consiste nella dichiarazione resa da una persona estranea alla causa su fatti controversi di cui ha conoscenza diretta. Il testimone, prima di deporre, è tenuto a pronunciare la seguente formula:
«Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e non nascondere nulla di quanto a mia conoscenza».
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. 29 gennaio 2013, n. 2075), il testimone deve riferire fatti di cui ha avuto diretta esperienza, evitando valutazioni soggettive.
La Corte costituzionale ha inoltre confermato (sent. 5 maggio 1995, n. 149) la legittimità dell’obbligo di rendere dichiarazioni veritiere sotto responsabilità giuridica.
Modalità di assunzione della prova testimoniale
La regola generale prevede che la deposizione avvenga oralmente in udienza, davanti al giudice istruttore (art. 251 c.p.c. e ss.).
Tuttavia, l’art. 257-bis c.p.c. consente, su accordo delle parti, l’acquisizione della prova testimoniale anche mediante dichiarazione scritta, sottoscritta dal testimone con firma autenticata.
Questa modalità semplificata risponde all’esigenza di snellire il procedimento, pur mantenendo valide le garanzie di autenticità e attendibilità della deposizione.
Oggetto della testimonianza: cosa può essere provato
La prova testimoniale può riguardare esclusivamente fatti obiettivi e direttamente percepiti dal testimone.
Non è ammissibile la deposizione relativa a opinioni, deduzioni personali o valutazioni soggettive (Cass. 31 luglio 2012, n. 13693).
Il legislatore guarda con una certa diffidenza alla testimonianza, a causa dei rischi derivanti da compiacenze, interessi personali o errori di memoria.
Proprio per questo motivo, la prova per testimoni è soggetta a precisi limiti di ammissibilità.
Ammissibilità della prova testimoniale nei contratti
Limiti legali ex art. 2721 c.c.
L’art. 2721, comma 1, c.c. prevede che la prova testimoniale non sia ammissibile per dimostrare il perfezionamento o il contenuto di un contratto avente valore superiore a € 2,58.
Questo limite, nonostante l’evidente inadeguatezza rispetto al valore attuale della moneta, non è stato aggiornato dal legislatore.
Tuttavia, il comma 2 dello stesso articolo attribuisce al giudice la facoltà di ammettere la prova oltre tale soglia, valutando:
- la qualità delle parti,
- la natura del contratto,
- ogni altra circostanza rilevante del caso concreto (Cass. 24 gennaio 2018, n. 1751).
Ipotesi di deroga ex art. 2724 c.c.
La prova testimoniale è comunque sempre ammessa in presenza di una delle tre condizioni previste dall’art. 2724 c.c.:
- Principio di prova scritta: quando vi è un documento che rende verosimile il fatto da provare (es. ricevuta, email, preventivo – Cass. 16 ottobre 2012, n. 17766).
- Impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta: tipico è il caso di contratti tra familiari o persone legate da rapporti di fiducia (Cass. 7 luglio 2016, n. 13857).
- Perdita senza colpa del documento: ove la parte abbia smarrito o distrutto involontariamente l’atto scritto (Cass. 24 marzo 2016, n. 5919; Cass. 29 gennaio 2014, n. 1944).
Prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari a un documento
L’art. 2722 c.c. vieta l’ammissione della prova testimoniale finalizzata a dimostrare che, al momento della formazione di un documento, le parti abbiano concluso patti diversi da quelli risultanti dall’atto scritto.
Tuttavia, anche in questo caso, il divieto può essere superato se ricorre una delle tre ipotesi previste dall’art. 2724 c.c.
L’art. 2723 c.c. disciplina invece i patti successivi alla stipulazione del documento: in tal caso, la prova testimoniale può essere ammessa se il giudice la ritiene verosimile, tenuto conto delle circostanze del caso (Cass. 3 aprile 2013, n. 8119).
Contratti con forma scritta richiesta ad substantiam o ad probationem
L’art. 2725 c.c. prevede l’inammissibilità della prova testimoniale per i contratti che devono essere redatti in forma scritta:
- ad substantiam: quando la forma è richiesta per la validità dell’atto (es. donazione),
- ad probationem: quando la forma scritta è imposta solo per provare l’atto (es. contratti di lavoro superiori ai 3 giorni).
In questi casi, la prova per testimoni è ammessa solo se il documento è andato perduto senza colpa della parte (art. 2725, comma 1, c.c.).
Prova testimoniale in materia di pagamento e remissione del debito
Ai sensi dell’art. 2726 c.c., le medesime regole si applicano anche quando la prova testimoniale è invocata per dimostrare l’avvenuto pagamento o la remissione di un debito.
Anche in queste ipotesi, l’ammissione della prova orale è subordinata al rispetto dei limiti sopra descritti (Cass. 9 aprile 2015, n. 7090).
L’eccezione di inammissibilità: rilievo su istanza di parte
È importante precisare che l’inammissibilità della prova testimoniale non è rilevabile d’ufficio.
Essa deve essere eccepita tempestivamente dalla parte interessata nel corso del giudizio, a pena di decadenza (Cass. 19 febbraio 2018, n. 3956; Cass. 15 febbraio 2018, n. 3763).
Ciò rafforza il carattere dispositivo del processo civile, in cui spetta alle parti attivare il meccanismo processuale per far valere l’inammissibilità della prova.
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