Prova della proprietà nella divisione: onere della prova attenuato

Nel giudizio di divisione, la prova della proprietà non è soggetta ai criteri rigorosi previsti per l’azione di rivendicazione o per l’azione di accertamento.

I condividenti devono dimostrare la contitolarità del bene oggetto di divisione, ma tale onere probatorio è attenuato, trattandosi di accertare un diritto comune e non di contrastare diritti contrapposti.

L’ordinanza della Cassazione civile del 13 maggio 2025, n. 12660, ribadisce questo principio, offrendo importanti chiarimenti giurisprudenziali sull’onere della prova nella divisione giudiziale.

Indice dei contenuti

  • La natura del giudizio di divisione
  • Prova della comproprietà e onere probatorio attenuato
  • Cassazione n. 12660/2025: il caso concreto
  • Rilevanza della documentazione ipo-catastale
  • Prove indiziarie e CTU nei giudizi di divisione
  • Inattività del giudice in presenza di comproprietà non contestata
  • La tutela del terzo pregiudicato o del condividente pretermesso
  • Riferimenti normativi

La natura del giudizio di divisione

Il giudizio di divisione, ai sensi dell’art. 713 c.c., ha ad oggetto la trasformazione della quota ideale di un bene comune in una porzione concreta e distinta. Non si tratta, quindi, di attribuire un bene nuovo o diverso rispetto alla situazione preesistente, bensì di individuare materialmente ciò che già spettava in astratto al singolo condividente.

La giurisprudenza ha da tempo chiarito che tale giudizio ha natura petitoria. Ciò implica che il giudice debba accertare in via preliminare la titolarità del diritto reale in capo a ciascuna parte, ma tale accertamento non deve rispettare il grado di rigore richiesto in altre azioni, come la rivendicazione ex art. 948 c.c.

Prova della comproprietà e onere probatorio attenuato

Secondo l’art. 2697 c.c., chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provarne i fatti costitutivi. Tuttavia, nel giudizio di divisione, l’accertamento della comproprietà non ha le stesse caratteristiche delle azioni a carattere dichiarativo o restitutorio.

Infatti, come ribadito dalla Suprema Corte, la prova della comproprietà non richiede necessariamente l’esibizione di un titolo di acquisto o di una certificazione ipo-catastale: è sufficiente dimostrare l’esistenza di un diritto comune tra le parti, anche mediante presunzioni, documentazione indiziaria o consulenze tecniche.

Il giudice, pertanto, può considerare accertato il diritto in presenza di elementi univoci e non contestati, senza esigere una prova scritta ad substantiam.

Cassazione n. 12660/2025: il caso concreto

L’ordinanza n. 12660/2025 della Cassazione trae origine da una controversia sorta nell’ambito di una comunione ereditaria. Gli eredi di O.A., deceduta nel 1985, avevano proposto domanda di scioglimento della comunione davanti al Tribunale di Salerno.

Il convenuto, C.V., eccepiva l’esistenza di un accordo divisionale già perfezionato, richiedendo l’accertamento della propria titolarità su determinati beni.

Nel corso del giudizio vennero disposte due consulenze tecniche d’ufficio per la ricostruzione della consistenza dell’asse ereditario e per la redazione del progetto divisionale. Il Tribunale respinse entrambe le domande (principale e riconvenzionale), rilevando l’assenza di titoli di provenienza e di certificazione ipo-catastale, ritenendo così non provata la titolarità dei beni.

In appello, la Corte territoriale confermò il rigetto, affermando che la comproprietà doveva risultare da atto scritto, in quanto fatto costitutivo della domanda.

La Cassazione, invece, ha accolto il ricorso, rilevando l’erroneità dell’approccio della Corte d’appello: non essendovi contestazione tra le parti sulla proprietà dei beni comuni, e risultando la comproprietà dalle CTU espletate, il rigetto fondato sulla mancanza di prova documentale rigorosa non era giustificato.

Rilevanza della documentazione ipo-catastale

La documentazione ipo-catastale (visure, certificazioni, atti notarili) rappresenta sicuramente uno strumento utile per confermare la titolarità del diritto reale in capo ai condividenti.

Tuttavia, essa non costituisce un elemento imprescindibile nei giudizi di divisione, specialmente se le risultanze tecniche e le allegazioni processuali non sono contestate.

L’utilizzo di tali documenti resta raccomandabile per facilitare il lavoro del giudice e per evitare eventuali opposizioni, ma la loro assenza non deve condurre automaticamente al rigetto della domanda, se il diritto è altrimenti desumibile.

Prove indiziarie e CTU nei giudizi di divisione

Nel caso in esame, il giudizio di primo grado era stato preceduto da due CTU, le quali avevano accertato l’inclusione dei beni nel patrimonio del de cuius e la loro attuale consistenza.

La Cassazione ha rilevato che le risultanze tecniche, se non smentite o contraddette da elementi contrari, possono costituire valida base per l’accertamento della comproprietà.

È quindi ammissibile il ricorso a prove indiziarie e tecniche, laddove vi sia accordo tra le parti sull’esistenza del diritto comune e manchino elementi di contrasto.

Inattività del giudice in presenza di comproprietà non contestata

Uno dei punti qualificanti della pronuncia è l’enfasi posta sul fatto che il giudice, pur dovendo compiere un accertamento della titolarità dei beni, può ritenere sufficiente la comproprietà non contestata dalle parti.

In altri termini, la funzione del giudice non è quella di ricostruire d’ufficio la catena dominicale, ma di risolvere il conflitto sulla divisione di beni il cui regime dominicale è pacifico.

Ciò si traduce in una valorizzazione della non contestazione e delle ammissioni implicite o esplicite delle parti, secondo i principi generali del processo civile.

La tutela del terzo pregiudicato o del condividente pretermesso

In assenza della produzione dei titoli di provenienza e della certificazione ipo-catastale, il rischio che la divisione intervenga tra soggetti non legittimati trova rimedio processuale nell’opposizione di terzo.

Tale strumento, disciplinato dagli artt. 404 ss. c.p.c., consente al terzo leso da una sentenza resa in un giudizio al quale non ha partecipato (o nel quale è stato pretermesso) di far valere i propri diritti in via autonoma, ottenendo l’eventuale revoca o modifica del provvedimento pregiudizievole.

Anche il condividente pretermesso può utilizzare lo stesso rimedio, qualora risulti escluso dalla divisione o non correttamente evocato in giudizio.

Riferimenti normativi

  • Art. 713 c.c.Divisione ereditaria: disciplina la possibilità per ciascun coerede di chiedere in ogni tempo la divisione dei beni comuni.
  • Art. 2697 c.c.Onere della prova: stabilisce che chi vuol far valere un diritto deve provarne i fatti costitutivi, mentre chi eccepisce l’inefficacia o la modificazione deve provarne i fatti impeditivi, modificativi o estintivi.

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