La permuta con cosa futura rappresenta una particolare fattispecie di contratto di permuta in cui una delle prestazioni ha per oggetto un bene non ancora venuto a esistenza.
In tal caso l’effetto traslativo della proprietà, ai sensi dell’art. 1472 del codice civile, si verifica solo nel momento in cui il bene promesso viene ad esistenza, identificandosi, relativamente agli immobili, nella realizzazione delle strutture fondamentali.
La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 13398 del 15 maggio 2024 offre lo spunto per un’analisi approfondita di tale fattispecie, chiarendo i presupposti applicativi e gli effetti del contratto di permuta di cosa presente contro cosa futura.
Indice dei contenuti:
- La permuta con cosa futura e il richiamo all’art. 1472 c.c.
- La vicenda giudiziaria oggetto dell’ordinanza n. 13398/2024
- L’effetto traslativo nella permuta con cosa futura: momento e condizioni
- La decisione della Corte d’appello e la censura in sede di legittimità
- Il principio affermato dalla Cassazione sull’effetto traslativo ex art. 1472 c.c.
- Il mancato acquisto per accessione e le conseguenze sulla quantificazione del danno
La permuta con cosa futura e il richiamo all’art. 1472 c.c.
La permuta disciplinata dagli artt. 1552 e ss. c.c. è un contratto a prestazioni corrispettive in cui ciascuna parte si obbliga a trasferire all’altra la proprietà di un bene.
Quando la permuta ha per oggetto una cosa non ancora esistente, il contratto, in forza del richiamo contenuto nell’art. 1555 c.c., è soggetto alle disposizioni sulla vendita di cosa futura di cui all’art. 1472 c.c.
Ai sensi del primo comma dell’art. 1472 c.c., “Nella vendita che ha per oggetto una cosa futura [1348], l’acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza”.
Tale principio si applica anche alla permuta con cosa futura, determinando il momento del trasferimento della proprietà non al momento della stipulazione del contratto, ma alla venuta ad esistenza del bene futuro.
La vicenda giudiziaria oggetto dell’ordinanza n. 13398/2024
Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, M.G., A.G. e R.G. avevano concluso in data 24 luglio 1990 un contratto con la società I. s.p.a., con cui trasferivano la proprietà di un’area edificabile in cambio della consegna di locali commerciali da edificare sulla medesima area a cura e spese della società.
La controprestazione consisteva dunque in immobili da costruire, cioè beni futuri.
A fronte del mancato completamento e della mancata consegna dei locali, i ricorrenti hanno agito per ottenere il risarcimento del danno, sostenendo l’inadempimento della controparte.
Il Tribunale di Palermo ha accolto parzialmente le domande condannando la società al pagamento di Euro 428.276,17, con interessi legali.
Le parti hanno successivamente proposto appello, ma la Corte d’appello di Palermo ha rigettato entrambi i gravami, riconoscendo l’avvenuta conclusione di un contratto di permuta di bene presente contro bene futuro, con applicazione dell’art. 1472 c.c.
L’effetto traslativo nella permuta con cosa futura: momento e condizioni
La Corte d’appello ha riconosciuto che l’effetto traslativo relativamente al bene futuro si verifica soltanto al momento in cui il bene stesso viene ad esistenza.
Tuttavia, ha ritenuto che i manufatti realizzati (muretti, pilastri, portici) potessero essere valutati economicamente ai fini della quantificazione del danno, pur non integrando l’esistenza giuridica dei locali commerciali oggetto della permuta.
Tale impostazione è stata contestata dai ricorrenti dinanzi alla Corte di Cassazione, evidenziando che i beni effettivamente realizzati erano radicalmente diversi da quelli previsti contrattualmente e che, pertanto, l’effetto traslativo non si era mai verificato ai sensi dell’art. 1472 c.c.
La decisione della Corte d’appello e la censura in sede di legittimità
Secondo la Corte d’appello, i beni costruiti, seppur diversi da quelli previsti dal contratto, possedevano un valore economico idoneo a giustificare la riduzione del danno liquidato in primo grado. Di conseguenza, il danno è stato ridotto di un terzo rispetto al valore dei negozi mai realizzati.
I ricorrenti hanno impugnato tale valutazione in Cassazione, osservando che:
- i portici costruiti non erano mai entrati nel loro patrimonio;
- i beni erano del tutto improduttivi e non commerciabili;
- la riduzione del risarcimento era arbitraria, poiché il presupposto per l’effetto traslativo non si era verificato.
Hanno inoltre sostenuto che, non essendo stati costruiti i negozi promessi, la proprietà non era stata trasferita e il risarcimento avrebbe dovuto essere integrale.
Il principio affermato dalla Cassazione sull’effetto traslativo ex art. 1472 c.c.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13398 del 15 maggio 2024, ha accolto il ricorso dei consorti G. sul punto, ribadendo il principio secondo cui l’effetto traslativo ex art. 1472 c.c. si verifica soltanto quando la cosa viene a esistenza, momento che si identifica nella conclusione del processo edificatorio nelle sue componenti essenziali, ossia nella realizzazione delle strutture fondamentali.
La Cassazione ha osservato che la stessa sentenza impugnata aveva affermato che i beni costruiti non erano idonei a configurare l’esistenza dei locali commerciali oggetto della permuta, mancando le caratteristiche strutturali essenziali.
Pertanto, non essendo mai venuto a esistenza l’oggetto della prestazione futura, non si era verificato l’effetto traslativo della proprietà.
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Il mancato acquisto per accessione e le conseguenze sulla quantificazione del danno
Un ulteriore rilievo affrontato dalla Suprema Corte riguarda l’impossibilità per i consorti G. di acquistare la proprietà dei manufatti costruiti, neppure per accessione, avendo già trasferito a I. s.p.a. la proprietà del terreno.
La Cassazione ha quindi escluso qualsiasi effetto traslativo a favore dei G., né ai sensi dell’art. 1472 c.c. né per accessione.
Da ciò discende l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha considerato i beni costruiti come rilevanti ai fini della quantificazione del danno.
La Cassazione ha affermato che, essendo rimasti estranei al patrimonio dei promittenti, tali manufatti non potevano in alcun modo incidere sulla misura del risarcimento, che doveva essere commisurato all’intero valore dei beni promessi e non costruiti.
In applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d’appello, rinviando per una nuova decisione conforme al principio secondo cui l’effetto traslativo nella permuta con cosa futura si verifica solo con la venuta ad esistenza del bene, intesa come realizzazione delle strutture fondamentali dell’immobile promesso.
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