Amministrazione del bene in comunione ; amministrazione bene comune

La disciplina dell’amministrazione del bene in comunione

L‘amministrazione del bene in comunione è regolata dal Codice Civile italiano e coinvolge tutti i comproprietari, garantendo diritti e doveri precisi per la gestione del patrimonio comune.

Il legislatore ha previsto modalità operative per assicurare una gestione ordinata, in grado di tutelare gli interessi di ciascun partecipante, e un sistema di deliberazione basato sul principio di maggioranza.

Questo articolo analizza i principali aspetti normativi e le condizioni per l’esercizio dei diritti e delle obbligazioni da parte dei comproprietari, illustrando come gli stessi possano agire individualmente o collettivamente per la protezione e il miglior godimento della cosa comune.

Diritti e obblighi di partecipazione all’amministrazione

Ogni comproprietario ha il diritto di partecipare alle decisioni relative all’amministrazione della cosa comune, in base a quanto previsto dall’art. 1105, comma 1, c.c.

Inoltre, ciascuno dei partecipanti ha diritto ad essere informato preventivamente sulle decisioni da prendere, come confermato anche dalla giurisprudenza (Cass. 12 dicembre 2017, n. 29747).

Non è richiesto il consenso unanime per la validità delle deliberazioni; piuttosto, il codice stabilisce che le decisioni vengano adottate in base al valore delle quote dei comproprietari, adottando così il principio di maggioranza (art. 1105, comma 2, c.c.).

Atti di ordinaria amministrazione

Gli atti di ordinaria amministrazione, orientati alla conservazione e all’uso regolare del bene comune, richiedono solo la maggioranza dei comproprietari le cui quote rappresentino più della metà del valore della cosa comune.

Tuttavia, sono vietati atti che possano arrecare gravi danni alla cosa stessa, secondo l’art. 1109, comma 1, n. 1, c.c.

Un regolamento per la gestione ordinaria può essere predisposto con il consenso di una maggioranza qualificata, e l’amministrazione può anche essere delegata a soggetti esterni alla comunione, come stabilito dall’art. 1106, comma 2, c.c.

Atti di straordinaria amministrazione

Per gli atti di straordinaria amministrazione, che riguardano modifiche più rilevanti, è necessario il consenso di una maggioranza ancora più elevata, composta dai comproprietari le cui quote rappresentano almeno due terzi del valore complessivo del bene (art. 1108, comma 2, c.c.).

Anche le innovazioni mirate al miglioramento o alla maggiore fruibilità della cosa comune richiedono la stessa maggioranza, purché non pregiudichino il diritto di godimento di alcun partecipante e non comportino spese eccessive (art. 1108, comma 1, c.c.).

Interventi individuali e tutela giurisdizionale

Qualora la maggioranza non adotti le decisioni necessarie per la gestione o la conservazione della cosa comune, ogni comproprietario ha la facoltà di rivolgersi all’Autorità giudiziaria per ottenere i provvedimenti opportuni. In casi estremi, è possibile richiedere la nomina di un amministratore giudiziario per garantire la tutela degli interessi comuni (art. 1105, comma 4, c.c.).

In assenza di una delibera, il singolo comproprietario può intervenire direttamente per eseguire gli interventi indispensabili alla conservazione della cosa comune, previa informativa agli altri e con diritto di rimborso delle spese (art. 1110 c.c.).

Ripartizione delle spese e rinuncia

Le spese deliberate e quelle necessarie alla conservazione del bene comune sono obbligazioni “propter rem” e, come tali, vengono ripartite tra i comproprietari proporzionalmente alle loro quote (art. 1104, comma 1, c.c.).

Tuttavia, ogni partecipante ha la facoltà di rinunciare alla propria quota, liberandosi dall’obbligo di sostenere le spese, che saranno così redistribuite tra gli altri partecipanti (Cass. 9 novembre 2009, n. 23691).

Atti individuali di amministrazione

La giurisprudenza riconosce a ciascun comproprietario il diritto di compiere autonomamente atti di amministrazione della cosa comune, purché non pregiudichino i diritti degli altri comproprietari.

Questo include, ad esempio, la facoltà di stipulare contratti che coinvolgano il bene comune o di intraprendere azioni legali per la tutela del possesso o del diritto comune, come ribadito dalla Cassazione (Cass. 28 gennaio 2015, n. 1650).

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