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Impugnazione testamento olografo e prova testimoniale

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza 17 agosto 2022, n. 24835) ha riaffermato un orientamento consolidato in materia di prova testimoniale nell’ambito del giudizio di impugnazione di un testamento olografo.

La Suprema Corte ha chiarito che non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone con vincoli di parentela o coniugali con una delle parti.

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 248 del 1974, invero, è stato espunto dall’ordinamento il divieto di testimoniare ex art. 247 c.p.c. e, pertanto, non può ritenersi inattendibile un teste soltanto per il fatto che lo stesso abbia legami di parentela con una della parti.

In egual modo si deve ritenere che la CTU grafologica è di per sè non idonea a condurre un giudizio di verità assoluta essendo preordinata solo ad un giudizio di verosimiglianza e di probabilità.

Il fatto: azione di nullità del testamento olografo

L’oggetto del giudizio riguardava l’azione di nullità di un testamento olografo promossa da un erede pretermesso finalizzata all’accertamento negativo della provenienza della scheda.

Secondo l’attore a seguito della CTU grafologica poteva ritenersi raggiunta la prova della falsità della scheda testamentaria, non essendo al contempo rilevanti le dichiarazioni rese dai teste della controparte.

La convenuta, soccombente nel merito, ricorreva in Cassazione avverso la sentenza di Corte d’Appello.

Quest’ultima secondo la ricorrente avrebbe riconosciuto la falsità del testamento soltanto sulla base della consulenza grafica senza tenere debitamente in considerazione le deposizioni dei testimoni. Pertanto, avrebbe erroneamente attribuito l’onere della prova alla parte opposta a quella che ne risulterebbe effettivamente gravata ai sensi dell’art. 2697 c.c.

Il consulente del giudice, invero, aveva ritenuto altamente probabile la non provenienza della scheda da parte del defunto. Inoltre il perito aveva affermato che la presenza di una pluralità di firme coeve poteva parificarsi ad un saggio grafico, consentendo di esprimere un giudizio di falsità in termini di certezza.

Il Giudice di Appello, aveva sostanzialmente aderito alle valutazioni del consulente ritenendo al contempo che le stesse non “possono ritenersi smentite dalle dichiarazioni rese dai testimoni di parte convenuta (i quali hanno riferito di aver assistito personalmente alla redazione del testamento), stante l’inattendibilità dei predetti testi, in ragione dei rapporti di parentela con la convenuta, non senza sottacere la genericità delle deposizioni che non consentono di ritenere la certa corrispondenza fra il documento visto sottoscrivere dal testatore ed il testamento impugnato“.

Il giudizio della Corte di Cassazione

Investita del ricorso, la Corte di cassazione – riaffermando il consolidato principio secondo cui “il giudice del merito, ancorchè abbia disposto una consulenza grafica sull’autografia di una scrittura disconosciuta (nella specie, un testamento olografo), ha il potere – dovere di formare il proprio convincimento sulla base di ogni altro elemento di prova obiettivamente conferente, comprese le risultanze della prova testimoniale, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria fra le varie fonti di accertamento della verità” – rimarcava che il rilievo della genericità delle deposizioni era stato assunto nella sentenza impugnata per giustificare un giudizio di “non certezza” sulla corrispondenza del documento “visto sottoscrivere dal testatore e il testamento impugnato“.

Conseguentemente, si deve dedurre che secondo la Corte d’Appello non è certo che i testimoni abbiano assistito alla formazione di quel documento ma anche l’ipotesi contraria.

In linea generale, è corretto affermare che in presenza di una CTU grafica che propende nella direzione della falsità della scheda il giudice di merito possa superare tale margine di incertezza riconoscendo che ciò non gli preclude di formarsi del “libero convincimento” circa la non autenticità della scheda.

Ma tale circostanza non si è verificata nel caso di specie, atteso che il dubbio indotto dalle deposizioni testimoniali – che riferirono di avere visto il defunto scrivere proprio “quel testamento” – non è stato superato dalla Corte d’appello, ma è stato risolto in favore dell’attore, contrariamente al riparto dell’onere probatorio riconosciuto dalle Sezioni Unite della Cassazione.

Quest’ultima ha affermato che l’onere della prova di non autenticità del testamento è a carico della parte che ha proposto la domanda di accertamento negativo.

Per queste ragioni, la Cassazione ha cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese.

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