Impugnazione testamento per dolo: serve la prova dei mezzi fraudolenti

L’impugnazione del testamento per dolo costituisce una delle ipotesi più complesse nell’ambito delle controversie ereditarie.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non basta dimostrare un’influenza psicologica sul testatore: è necessario fornire la prova rigorosa dell’uso di veri e propri mezzi fraudolenti, capaci di ingannare il de cuius e di alterare in modo determinante la sua volontà.

La Cassazione civile, con la sentenza n. 26519 dell’11 ottobre 2024, ha ribadito con fermezza questo principio, precisando i requisiti per l’accoglimento di una domanda di annullamento del testamento olografo fondata sul dolo.

Indice dei contenuti:

  • Requisiti per l’impugnazione del testamento per dolo
  • Il principio di diritto stabilito dalla Cassazione n. 26519/2024
  • Il caso: impugnazione del testamento olografo di G.S.
  • La valutazione della Corte d’Appello di Venezia
  • Il rigetto del ricorso in Cassazione: motivazioni e presupposti
  • Prova presuntiva e fatti certi: criteri probatori nella captazione
  • Inidoneità delle prove testimoniali e rilievo delle circostanze di fatto
  • L’art. 463, n. 5, c.c. e la pubblicazione tardiva del testamento

Requisiti per l’impugnazione del testamento per dolo

L’annullamento di un testamento per dolo presuppone la dimostrazione che la volontà del testatore sia stata indotta attraverso comportamenti fraudolenti.

Non è sufficiente una mera influenza affettiva, morale o psicologica, né la presenza di sollecitazioni, suggerimenti o blandizie. La prova deve riguardare veri e propri mezzi fraudolenti, ovvero artifici idonei ad alterare la rappresentazione della realtà da parte del testatore, in relazione al suo stato psichico, all’età e alle condizioni di salute.

Il principio di diritto stabilito dalla Cassazione n. 26519/2024

La Cassazione civile, sez. II, con la sentenza n. 26519/2024, ha precisato che:

Al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni; occorre, invece, la prova dell’avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sua età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata; la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore

Inoltre, la Corte ha aggiunto che la prova della captazione può essere presuntiva, ma deve basarsi su fatti certi, idonei a ricostruire in modo preciso l’attività di condizionamento e l’influenza determinante sulla formazione della volontà del de cuius.

Il caso: impugnazione del testamento olografo di G.S.

La controversia trae origine dalla domanda proposta da G.R. e G.M. dinanzi al Tribunale di Padova, volta a ottenere:

  • la dichiarazione di nullità o inefficacia del testamento olografo del padre,
  • l’annullamento per incapacità di intendere e di volere,
  • l’annullamento per dolo,
  • la dichiarazione di indegnità a succedere del fratello G.R.

Il testamento olografo del de cuius, datato 19 novembre 2006, riconosceva a G.R. l’usufrutto generale sui beni mobili ed immobili. Il Tribunale, disposta CTU medico-legale, rigettava tutte le domande in sentenza non definitiva, escludendo l’incapacità e la sussistenza del dolo.

La valutazione della Corte d’Appello di Venezia

G.S. proponeva appello, reiterando le richieste istruttorie (testimonianze, CTU grafologica, rinnovazione della perizia medico-legale). La Corte d’Appello di Venezia, tuttavia, respingeva le istanze istruttorie e rigettava l’appello, rilevando:

  • l’assenza di elementi indiziari sufficienti a dimostrare una captazione della volontà testamentaria,
  • l’insufficienza degli elementi forniti per dimostrare l’impiego di mezzi fraudolenti da parte di G.R.,
  • la presenza di motivazioni plausibili, quali la riconoscenza verso il fratello, per spiegare l’attribuzione testamentaria.

Il rigetto del ricorso in Cassazione: motivazioni e presupposti

Il ricorso in Cassazione, proposto da G.S. con cinque motivi, veniva rigettato. In particolare, la Suprema Corte, con riferimento al quarto motivo, ha ribadito il principio secondo cui la captazione deve essere dimostrata in concreto e non può essere desunta da:

  • circostanze generiche,
  • mere deduzioni,
  • congetture soggettive sul comportamento del beneficiario.

Il testamento impugnato, benché redatto in prossimità del decesso e in condizioni critiche di salute, non risultava viziato da dolo, in assenza della prova di un’attività fraudolenta specifica.

Prova presuntiva e fatti certi: criteri probatori nella captazione

Secondo la Cassazione, la prova presuntiva della captazione è ammissibile ma deve fondarsi su fatti certi, suscettibili di identificare e ricostruire:

  • un’attività di condizionamento diretta,
  • un’influenza decisiva sulla volontà del testatore.

Tale principio trova applicazione costante nella giurisprudenza di legittimità e rappresenta un argine alle impugnazioni fondate su sospetti o valutazioni soggettive.

Inidoneità delle prove testimoniali e rilievo delle circostanze di fatto

La Corte ha ritenuto non decisive le prove testimoniali richieste da G.S., poiché non avrebbero consentito di identificare atti specifici di manipolazione della volontà del de cuius. In particolare:

  • la disponibilità del foglio protocollo per la redazione del testamento,
  • l’attestazione dell’autenticità della firma da parte di un conoscente,
  • la ritardata comunicazione ai figli e all’ex moglie delle gravi condizioni del de cuius,

sono state ritenute circostanze neutre, compatibili con la volontà genuina del testatore, e non dimostrative dell’uso di artifizi fraudolenti.

L’art. 463, n. 5, c.c. e la pubblicazione tardiva del testamento

Infine, la Corte d’Appello ha escluso l’indegnità a succedere ex art. 463, n. 5, cod. civ., osservando che:

  • l’occultamento del testamento per impedirne l’esecuzione va distinto dalla ritardata pubblicazione,
  • il ritardo può incidere sui rapporti patrimoniali tra eredi, ma non pregiudica la realizzazione della volontà del de cuius.

La Suprema Corte ha confermato questa lettura, sottolineando che l’indegnità richiede condotte attive e volontarie di soppressione o falsificazione, non un mero ritardo nell’adempimento formale.

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