Edilizia popolare | No all’usucapione

L’edilizia popolare è una materia in cui il diritto civile incontra l’interesse pubblico. In particolare, i beni destinati all’edilizia residenziale pubblica, facenti parte del patrimonio indisponibile degli enti pubblici, non possono essere oggetto di usucapione da parte di terzi.

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 36907 del 16 dicembre 2022 riafferma con chiarezza questo principio, chiarendo i presupposti giuridici e i limiti di applicabilità della disciplina dominicale e possessoria rispetto agli immobili destinati ad abitazioni per cittadini non abbienti.

Indice dei contenuti:

  • Edilizia popolare e beni del patrimonio indisponibile
  • Cassazione 36907/2022: il principio di inusucapibilità
  • La destinazione pubblica e i limiti all’usucapione
  • Sdemanializzazione e alienazione: i criteri giuridici
  • Il possesso “uti condominus” nei beni comuni pubblici
  • La distinzione tra titolarità e destinazione del bene
  • Conclusione della Cassazione: tutela della funzione pubblica dell’immobile

Edilizia popolare e beni del patrimonio indisponibile

Ai sensi degli articoli 830 e 828, secondo comma, del codice civile, i beni appartenenti al patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale sono sottratti al regime ordinario della circolazione e non possono essere oggetto di usucapione. La destinazione a edilizia popolare integra una funzione pubblica essenziale: garantire il diritto all’abitazione per i cittadini economicamente svantaggiati.

In questo contesto, tali immobili rientrano tra i beni indisponibili proprio perché destinati a un interesse collettivo primario.

Cassazione 36907/2022: il principio di inusucapibilità

L’ordinanza n. 36907 del 16 dicembre 2022 della Corte di Cassazione ha riaffermato che i diritti reali incompatibili con la funzione sociale dell’edilizia popolare non possono essere usucapiti.

La vicenda riguardava la domanda proposta da alcuni soggetti (S.C., O.D.C., A.F. e L.F.) i quali avevano richiesto il riconoscimento della proprietà per usucapione di vari immobili originariamente realizzati dall’IACP (Istituto Autonomo Case Popolari).

Tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello di L’Aquila avevano rigettato la domanda, rilevando che il possesso esercitato era “uti condominus” e non “uti dominus”, e che la destinazione pubblica non era venuta meno con il primo atto di cessione del 1971, ma solo con l’alienazione dell’intero complesso immobiliare.

La destinazione pubblica e i limiti all’usucapione

Il principio cardine espresso dalla Corte è che la destinazione pubblica di un bene non viene meno se non nei modi stabiliti dalla legge. La funzione pubblica dell’immobile destinato a edilizia popolare è incompatibile con l’acquisto per usucapione. Non basta, quindi, la mera dismissione parziale o l’inizio di un procedimento di alienazione per rendere il bene suscettibile di usucapione.

La Cassazione ha ribadito che l’indisponibilità non è una qualità intrinseca della titolarità pubblica, ma deriva dalla concreta destinazione pubblica del bene. Tale destinazione perdura fino a quando anche una sola delle unità abitative continua a essere utilizzata per soddisfare l’interesse pubblico all’abitazione.

Sdemanializzazione e alienazione: i criteri giuridici

Secondo quanto previsto dall’art. 829 c.c., la sdemanializzazione può avvenire solo per effetto di legge o in presenza di atti o fatti univoci che manifestino la cessazione dell’interesse pubblico. La giurisprudenza richiede una dismissione integrale del complesso immobiliare, ossia la vendita di tutte le unità abitative. L’inizio di un procedimento amministrativo volto all’alienazione non equivale a sdemanializzazione e non può essere considerato atto idoneo a interrompere la funzione pubblica del bene.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, l’ente pubblico non aveva ancora dismesso tutte le unità immobiliari. Di conseguenza, non si poteva ritenere che il complesso avesse perso la sua destinazione pubblica.

Il possesso “uti condominus” nei beni comuni pubblici

Altro punto centrale della decisione riguarda la qualificazione del possesso. I ricorrenti, che si avvalevano dell’uso esclusivo degli immobili, non avevano tuttavia esercitato un possesso qualificato “uti dominus”, ma un semplice utilizzo “uti condominus”, compatibile con l’uso consentito nell’ambito della proprietà pubblica. In assenza di atti di interversione del possesso idonei a manifestare un’intenzione inequivoca di possedere come proprietari, non può maturare l’usucapione.

La Corte ha richiamato, in tal senso, la giurisprudenza costante secondo cui il semplice uso esclusivo di un bene comune – pubblico o privato – non costituisce elemento sufficiente per configurare un possesso utile ai fini dell’acquisto per usucapione.

La distinzione tra titolarità e destinazione del bene

Un argomento sollevato dai ricorrenti riguardava la distinzione tra la titolarità pubblica del bene e la sua concreta destinazione. A loro dire, la dismissione iniziata nel 1971 con la cessione di alcune unità abitative doveva essere considerata idonea a far venir meno la destinazione pubblica. La Corte ha rigettato tale tesi, affermando che la cessazione della destinazione pubblica si verifica solo con la dismissione totale dell’intero complesso, a prescindere da quando singole unità siano state vendute.

La destinazione pubblica, infatti, non è una qualità modulabile o parzialmente cessata, ma persiste fino a quando l’intero immobile o complesso immobiliare non è stato integralmente alienato.

Conclusione della Cassazione: tutela della funzione pubblica dell’immobile

In conclusione, la Cassazione ha confermato l’impossibilità di usucapire immobili destinati all’edilizia popolare fintantoché essi conservano, anche solo parzialmente, la loro funzione pubblica.

La decisione si fonda sul combinato disposto degli artt. 830 e 828, comma 2, c.c., che subordinano la sottrazione alla destinazione pubblica al rispetto delle forme previste dalla legge. Solo la cessazione definitiva e integrale della funzione pubblica consente di considerare il bene disponibile e dunque usucapibile.

Questa pronuncia assume rilevanza non solo per la tutela del patrimonio pubblico, ma anche per la corretta interpretazione delle norme in materia di edilizia residenziale pubblica e dei limiti oggettivi all’operatività dell’usucapione.

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