Nell’ambito delle operazioni di divisione ereditaria, l’estrazione a sorte rappresenta il criterio ordinario previsto dall’art. 729 c.c. per l’assegnazione delle porzioni di pari valore tra i coeredi.
Tuttavia, l’applicazione di tale meccanismo può essere esclusa nel caso in cui le quote ereditarie abbiano valori differenti.
La recente ordinanza n. 17176 del 21 giugno 2024 della Corte di Cassazione fornisce un’ulteriore conferma interpretativa in merito all’ambito di applicazione dell’estrazione a sorte, ribadendo i presupposti di legittimità della sua deroga.
Indice dei contenuti:
- Divisione ereditaria con quote eguali e diseguali: il criterio dell’estrazione a sorte
- Il caso concreto e il progetto di divisione
- La disciplina dell’art. 729 c.c. e la sua finalità
- Il ricorso in Cassazione e la valutazione sulla diseguaglianza delle quote
- L’attribuzione degli immobili non comodamente divisibili e il richiamo all’art. 720 c.c.
- La questione del godimento esclusivo e il risarcimento per i frutti percepiti
Divisione ereditaria con quote eguali e diseguali: il criterio dell’estrazione a sorte
L’art. 729 c.c. dispone che, nell’ambito della divisione ereditaria, l’assegnazione delle porzioni deve avvenire mediante estrazione a sorte, purché le porzioni siano di valore eguale.
Se, invece, le quote sono diseguali, la norma prevede che si proceda mediante attribuzione.
La funzione dell’estrazione a sorte è quella di garantire l’imparzialità nella formazione delle porzioni, evitando favoritismi tra i condividenti.
Questo principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17176/2024, che ha precisato come l’adozione del sorteggio costituisca il criterio normale, derogabile esclusivamente in presenza di quote di valore diverso.
Il caso concreto e il progetto di divisione
Nel caso esaminato dalla Corte, il Tribunale era stato chiamato a decidere in merito alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria instaurata tra i cinque figli e la moglie del defunto (deceduta successivamente in corso di causa).
Dopo aver proceduto alla collazione delle donazioni effettuate in vita dal de cuius, il giudice di primo grado approvava un progetto di divisione che:
- attribuiva determinati beni a due figli e alla quota della moglie defunta;
- disponeva l’estrazione a sorte tra le tre sorelle per l’assegnazione delle rimanenti tre quote;
- prevedeva il versamento di conguagli per equilibrare le differenze tra le quote ideali e quelle in natura;
- condannava gli eredi che avevano goduto in via esclusiva dei beni ereditari al rendiconto dei frutti in favore degli altri coeredi.
La disciplina dell’art. 729 c.c. e la sua finalità
Come già indicato, l’art. 729 c.c. disciplina l’assegnazione delle porzioni mediante estrazione a sorte quando le quote siano di uguale valore.
La ratio della norma risiede nella necessità di prevenire ogni forma di disparità di trattamento tra i condividenti, offrendo un criterio oggettivo e imparziale di attribuzione.
Tale principio, tuttavia, incontra un limite esplicito nel caso in cui le porzioni non siano uguali per valore. In tali circostanze, la giurisprudenza ha chiarito che il giudice è tenuto a effettuare attribuzioni dirette, anziché procedere con il sorteggio.
Il ricorso in Cassazione e la valutazione sulla diseguaglianza delle quote
La sentenza di primo grado veniva impugnata in appello da due dei figli, i quali contestavano la legittimità delle attribuzioni dirette operate dal giudice, ritenendo che fosse stato violato l’art. 729 c.c. per non aver disposto l’estrazione a sorte anche per le quote assegnate ai fratelli.
La Corte d’Appello respingeva il gravame, rilevando che le porzioni attribuite avevano valori differenti e che, di conseguenza, non vi era stato alcun contrasto con la disposizione normativa.
Uno dei fratelli proponeva quindi ricorso per Cassazione, deducendo, tra i motivi, la violazione dell’art. 729 c.c., in quanto la differenza tra le quote era minima (circa mille euro) e non giustificava, a suo dire, la deroga al sorteggio.
La Suprema Corte ha ritenuto infondato tale motivo, osservando che:
- per effetto della collazione delle donazioni, le quote ereditarie non avevano valore eguale;
- la diversa entità delle quote derivava anche dalle donazioni ricevute dai due fratelli maschi e dalla quota del coniuge superstite;
- anche se la differenza economica appariva contenuta, era comunque sufficiente a escludere l’obbligo di procedere con l’estrazione a sorte per tutte le porzioni.
Di conseguenza, la Corte ha confermato la correttezza dell’operato del giudice di merito, che aveva applicato l’art. 729 c.c. limitando l’estrazione alle sole porzioni effettivamente eguali.
L’attribuzione degli immobili non comodamente divisibili e il richiamo all’art. 720 c.c.
Il secondo motivo del ricorso riguardava la presunta violazione dell’art. 720 c.c., in relazione all’art. 727 c.c., nella parte in cui il giudice aveva attribuito interamente determinati immobili a singoli coeredi, anziché procedere a un frazionamento delle porzioni.
La Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile, ricordando il principio secondo cui nella divisione ereditaria non si richiede una omogeneità assoluta delle porzioni.
È infatti legittimo che alcuni beni vengano attribuiti interamente a una quota e altri ad un’altra, con eventuale compensazione mediante conguagli.
Secondo l’orientamento consolidato, il diritto all’assegnazione in natura non impone la divisione di ogni singolo bene, ma la ripartizione proporzionale delle categorie di beni.
Il giudice può quindi scegliere il progetto che consenta di ridurre al minimo i conguagli, privilegiando la formazione delle quote in natura. Tale scelta rientra nell’ambito dell’apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità.
La questione del godimento esclusivo e il risarcimento per i frutti percepiti
Il terzo motivo di ricorso censurava la condanna al pagamento di somme a titolo di frutti civili da parte degli eredi che avevano goduto in via esclusiva di alcuni immobili ereditari, contestando la mancata prova del danno e l’illegittima applicazione delle norme sul risarcimento.
La Corte ha rigettato anche questo motivo, richiamando il principio secondo cui l’occupazione senza titolo di un bene normalmente fruttifero fa sorgere una presunzione relativa di danno in favore del proprietario.
Il danno è ricollegato alla perdita della possibilità di godimento diretto o indiretto del bene (ad esempio mediante locazione a terzi).
In questi casi, spetta all’occupante fornire la prova contraria, dimostrando che l’immobile era privo di fruttuosità.
In mancanza di tale prova, il giudice può procedere alla liquidazione equitativa del danno, anche facendo riferimento al canone locativo di mercato.
Nel caso di specie, la sentenza aveva accertato l’idoneità dei beni a generare frutti e aveva stimato il danno proprio sulla base del valore locativo, in assenza di elementi contrari offerti dal ricorrente. Pertanto, anche sotto questo profilo, il ricorso è stato respinto.
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