Diffida ad adempiere | Si può rinunciare alla risoluzione

La diffida ad adempiere è uno degli strumenti che l’ordinamento civile prevede per risolvere di diritto un contratto in caso di inadempimento.

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 15808 del 13 giugno 2025 offre un’occasione per analizzare criticamente i presupposti giuridici della diffida ad adempiere e, in particolare, la possibilità o meno per il creditore di rinunciare successivamente agli effetti risolutori già verificatisi, con specifico riferimento agli articoli 1453 e 1454 del codice civile.

Indice dei contenuti:

  • La diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c.
  • Effetti della diffida: la risoluzione di diritto del contratto
  • Rinuncia alla risoluzione dopo la diffida: orientamenti giurisprudenziali
  • Il caso concreto deciso dalla Cassazione con l’ordinanza n. 15808/2025
  • Le norme coinvolte: art. 1453, 1454, 1456 e 1457 c.c.
  • La questione della contestazione e l’effetto risolutorio
  • Cass. n. 23834/2010 e la scarna motivazione della corte territoriale
  • Profili di falsa applicazione delle norme in materia di diffida ad adempiere

La diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c.

La diffida ad adempiere è disciplinata dall’articolo 1454 del codice civile, secondo il quale:

Alla parte inadempiente l’altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto.

Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore.

Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto

Il meccanismo previsto dalla norma è chiaro: l’invio della diffida costituisce un atto unilaterale recettizio con cui il creditore impone all’altra parte un termine per adempiere. In caso di mancato adempimento entro tale termine, la risoluzione del contratto si produce automaticamente, senza necessità di una pronuncia giudiziale.

Effetti della diffida: la risoluzione di diritto del contratto

Quando la parte intimata non adempie nel termine stabilito, si produce ipso iure la risoluzione del contratto. Si tratta di una risoluzione di diritto, che avviene automaticamente, con effetto ex nunc.

In tal caso, la parte adempiente può agire per la restituzione delle prestazioni già eseguite e per il risarcimento del danno eventualmente patito.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la locatrice F.I. s.r.l. aveva regolarmente diffidato la conduttrice A.F. s.r.l. al pagamento dei canoni di locazione insoluti.

Decorso il termine previsto, la locatrice aveva agito giudizialmente per ottenere un decreto ingiuntivo e, successivamente, si era instaurato un contenzioso sull’avvenuta o meno risoluzione del contratto.

Rinuncia alla risoluzione dopo la diffida: orientamenti giurisprudenziali

Uno dei temi centrali affrontati dall’ordinanza n. 15808/2025 è la possibilità per la parte che ha inviato la diffida di rinunciare all’effetto risolutivo prodotto dalla stessa, anche dopo che il termine per adempiere è decorso inutilmente.

Secondo parte della giurisprudenza, tale rinuncia sarebbe ammissibile, pur essendosi già prodotto l’effetto risolutivo, trattandosi di un atto unilaterale successivo, volto a riattivare il rapporto contrattuale.

Tuttavia, la Cassazione si interroga se tale rinuncia possa essere sempre effettuata unilateralmente, o se sia necessario distinguere tra:

  • casi in cui l’effetto risolutivo è contestato dalla controparte, e
  • casi in cui l’effetto non è oggetto di contestazione.

Il caso concreto deciso dalla Cassazione con l’ordinanza n. 15808/2025

Nel caso sottoposto alla Suprema Corte:

  • F.I. s.r.l. aveva concesso in locazione a A.F. s.r.l. un immobile da adibire a supermercato per € 60.000 annui oltre IVA;
  • A.F. aveva chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento del locatore, per mancata esecuzione delle opere antincendio;
  • la domanda era stata rigettata sia in primo grado che in appello;
  • nel frattempo, F.I. aveva diffidato A.F. ai sensi dell’art. 1454 c.c., richiedendo il pagamento dei canoni;
  • decorso inutilmente il termine, F.I. aveva chiesto decreto ingiuntivo per €173.936,02;
  • il Tribunale di Bergamo aveva ritenuto risolto il contratto ex art. 1454 c.c., revocando il decreto ingiuntivo ma condannando A.F. per occupazione abusiva fino al marzo 2017.

La Corte d’appello di Brescia aveva invece ritenuto che la locatrice avesse rinunciato agli effetti della risoluzione, desumendo tale volontà dal comportamento successivo (mancata richiesta dei canoni dal 2013 al 2016).

Le norme coinvolte: art. 1453, 1454, 1456 e 1457 c.c.

La vicenda giuridica tocca un nodo sistematico della disciplina della risoluzione contrattuale. Oltre all’art. 1454 c.c., occorre richiamare:

  • art. 1453 c.c. – che disciplina in via generale la risoluzione per inadempimento;
  • art. 1456 c.c. – che prevede la risoluzione di diritto per clausola risolutiva espressa;
  • art. 1457 c.c. – che riguarda la risoluzione per scadenza del termine essenziale.

Tutte queste norme, pur nella loro diversità, sollevano il tema della rinunciabilità dell’effetto risolutorio già maturato: la giurisprudenza non è univoca nell’ammettere che la parte che ha provocato la risoluzione possa successivamente revocarla o rinunciarvi unilateralmente.

La questione della contestazione e l’effetto risolutorio

La Cassazione sottolinea che il tema della rinuncia all’effetto risolutorio deve essere affrontato in modo non astratto, ma tenendo conto delle reazioni della controparte. Si apre così una distinzione:

  • Se la controparte contesta la diffida e l’effetto risolutivo, allora la parte intimante, prendendo atto della contestazione, può rinunciare all’effetto (tacitamente o espressamente), riconoscendo la fondatezza della contestazione;
  • Se non vi è contestazione, la mancanza di condotte contrarie da parte del diffidato esclude che il diffidante possa, in un secondo momento, rinunciare agli effetti della diffida, considerato che la risoluzione si è ormai prodotta ex lege.

In tal senso, la rinuncia non avrebbe efficacia se priva del consenso dell’altra parte o se in contrasto con l’effetto già maturato e non contestato.

Cass. n. 23834/2010 e la scarna motivazione della corte territoriale

La Corte d’appello di Brescia, nel ritenere che la locatrice avesse rinunciato alla risoluzione, si era limitata a richiamare Cass. civ. n. 23834/2010, senza fornire motivazioni coerenti con la specificità della fattispecie concreta, e senza considerare la prolungata inerzia di F.I. nel richiedere i canoni.

Secondo la Cassazione, tale richiamo giurisprudenziale è stato effettuato in modo astratto, senza considerare che, nel caso di specie, nessuna condotta contraria era stata posta in essere da A.F., la quale non aveva contestato l’effetto risolutivo derivante dalla diffida.

Profili di falsa applicazione delle norme in materia di diffida ad adempiere

La Suprema Corte ha ritenuto fondata la censura della ricorrente A.F., rilevando la falsa applicazione degli articoli 1453 e 1454 c.c., oltre al vizio motivazionale ex art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.

La corte territoriale aveva erroneamente attribuito efficacia di rinuncia all’effetto risolutivo a un comportamento omissivo e non inequivocabile, come la mancata richiesta di pagamento per un certo periodo, ignorando che:

  • l’effetto risolutivo si era già verificato ex lege;
  • mancava un’effettiva contestazione della controparte;
  • la rinuncia all’effetto risolutivo, una volta maturato, non può essere desunta in modo generico da comportamenti passivi.

La Cassazione ha pertanto cassato con rinvio la decisione della corte d’appello, imponendo una nuova valutazione conforme ai principi espressi.

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