Nel contesto condominiale, i rumori provenienti dal piano superiore rappresentano una delle principali fonti di conflitto tra vicini.
Il rispetto della normale tollerabilità delle immissioni sonore, disciplinato dall’art. 844 c.c. e dai parametri fissati dal DPCM 5 dicembre 1997, è fondamentale per garantire il diritto alla salute e al godimento della proprietà.
Analizzeremo il recente orientamento giurisprudenziale in materia, prendendo come riferimento la sentenza del Tribunale di Firenze del 21 aprile 2025, che ha condannato una condomina al risarcimento di € 10.236 per danno biologico a causa di rumori molesti da calpestio.
Indice dei contenuti
- Il caso: rumori molesti e ricorso ex art. 700 c.p.c.
- La CTU fonometrica e la violazione dei limiti di tollerabilità
- La responsabilità per rumori da lavori edili e condizioni dell’edificio
- Le motivazioni della sentenza: applicazione dell’art. 844 c.c. e DPCM 5 dicembre 1997
- Il danno non patrimoniale e la prova necessaria
- Il danno biologico e il risarcimento riconosciuto
Il caso: rumori molesti e ricorso ex art. 700 c.p.c.
La controversia esaminata dal Tribunale di Firenze ha origine da un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., con cui una condomina lamentava l’esistenza di rumori molesti provenienti dall’appartamento sovrastante.
In fase cautelare, con provvedimento del 26 marzo 2021, venne ordinato alla vicina di collocare tappeti a pelo lungo e/o moquette nelle stanze principali dell’abitazione, al fine di attenuare le immissioni sonore.
La mancata ottemperanza all’ordine giudiziale da parte della vicina, che aveva posizionato tappeti inadeguati o insufficienti, ha successivamente portato all’introduzione del giudizio di merito per il risarcimento dei danni subiti.
La CTU fonometrica e la violazione dei limiti di tollerabilità
Durante il procedimento, è stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) di tipo fonometrico.
L’accertamento ha evidenziato che i rumori di calpestio e da caduta di oggetti si trasmettevano attraverso il solaio e provocavano un rumore impattivo e disturbante.
Le misurazioni hanno rilevato valori di 80 dB, superando nettamente il limite di 63 dB previsto dal DPCM 5 dicembre 1997.
Il superamento di tale soglia rende il rumore “intollerabile” ai sensi dell’art. 844 c.c., che stabilisce un criterio di equilibrio tra il diritto del singolo a non subire pregiudizi e le esigenze della convivenza civile.
La responsabilità per rumori da lavori edili e condizioni dell’edificio
L’attrice ha dedotto che l’aggravamento della rumorosità fosse dovuto a lavori edili eseguiti dalla vicina, consistenti nell’incollaggio di un nuovo pavimento in gres porcellanato sopra quello preesistente.
Tale intervento, effettuato nel 2018, avrebbe incrementato la propagazione del rumore, rendendo l’ambiente domestico insostenibile.
È stato inoltre evidenziato come l’edificio fosse stato costruito prima del 1997 e quindi privo delle caratteristiche di isolamento acustico richieste dal DPCM 5 dicembre 1997.
Tuttavia, la responsabilità non è stata attribuita alla sola carenza strutturale dell’immobile, bensì al comportamento specifico della vicina che, non adempiendo correttamente all’ordine cautelare, ha aggravato il disagio.
Le motivazioni della sentenza: applicazione dell’art. 844 c.c. e DPCM 5 dicembre 1997
Il Tribunale ha valorizzato i risultati della CTU fonometrica per affermare che le immissioni superavano la soglia di normale tollerabilità prevista dalla legge.
In materia di rumori condominiali, il superamento dei limiti di immissione fissati dalla normativa configura un illecito civile ai sensi dell’art. 844 c.c., anche in assenza di un’attività produttiva.
Il Giudice ha ribadito che la norma sull’immissione intollerabile tutela sia la quiete pubblica sia i diritti dei singoli, con una protezione ancora più stringente per il vicino direttamente esposto alle conseguenze dannose.
In particolare, si è sottolineato che il superamento della soglia di 63 dB indicata dal DPCM 5 dicembre 1997 costituisce un parametro oggettivo per qualificare le immissioni come intollerabili.
Il danno non patrimoniale e la prova necessaria
Nonostante l’accertamento dell’intollerabilità dei rumori, il Tribunale ha rigettato la richiesta di risarcimento per danno non patrimoniale connesso alla compromissione della qualità della vita domestica.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, il danno da lesione del diritto alla vivibilità dell’abitazione e al riposo notturno non è in re ipsa, ma richiede una specifica allegazione e prova da parte del danneggiato. L’attrice, non avendo dimostrato in modo dettagliato i disagi concreti e quotidiani subiti, non ha ottenuto il riconoscimento di tale voce di danno.
Il Tribunale ha quindi precisato che il solo superamento dei limiti di legge non è sufficiente per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, ma occorre fornire elementi che provino in modo circostanziato il peggioramento delle condizioni di vita.
Il danno biologico e il risarcimento riconosciuto
Diverso è stato l’esito per quanto riguarda il danno biologico. La CTU medico-legale ha accertato che la rumorosità dell’ambiente aveva determinato nell’attrice l’insorgenza di un disturbo d’ansia generalizzato, con sintomi quali alterazioni del ritmo sonno-veglia, pessimismo, preoccupazione per il futuro e stati di sofferenza psichica.
Il perito ha rilevato un nesso causale diretto tra l’esposizione prolungata ai rumori e il quadro clinico documentato, escludendo altre cause alternative. Tenuto conto della cronicizzazione dei sintomi, della perdita della serenità domestica e delle ripercussioni sulla vita quotidiana, il Tribunale ha quantificato il danno biologico in € 10.236.
Questo importo è stato liquidato tenendo conto dei parametri medico-legali, degli indici di personalizzazione e dell’intensità della compromissione accertata.
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