Capacità giuridica: significato e norme di riferimento

La capacità giuridica rappresenta un concetto cardine del diritto civile, identificando l’idoneità della persona fisica ad essere titolare di diritti e doveri.

In base all’art. 1 del codice civile, essa si acquista al momento della nascita e garantisce a ciascun individuo lo status di soggetto di diritto.

La Costituzione rafforza questo principio, vietando ogni forma di privazione arbitraria della capacità giuridica per motivi politici (art. 22 Cost.). Nell’ambito giuridico italiano, la capacità giuridica si coniuga con il principio di eguaglianza sostanziale e formale, nonché con il riconoscimento dei diritti anche agli stranieri, pur con alcune limitazioni fondate sul principio di reciprocità.

Il presente approfondimento analizza il significato, i riferimenti normativi e le principali implicazioni giuridiche della capacità giuridica, con attenzione anche alla capacità giuridica dello straniero, alla uguaglianza dei cittadini e alle evoluzioni costituzionali in materia.

Indice dei contenuti

La capacità giuridica nella persona fisica: fondamento normativo

Secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1, del codice civile, la capacità giuridica si acquista al momento della nascita. Tale previsione attribuisce, fin dal primo istante di vita, la qualità di soggetto di diritto alla persona fisica. La capacità giuridica, in questo senso, non richiede alcun ulteriore atto o condizione: si tratta di un effetto automatico legato alla nascita in vita.

A sostegno di questo principio, l’art. 22 della Costituzione della Repubblica Italiana sancisce che nessuno può essere privato della capacità giuridica per motivi politici, garantendo quindi la sua irrinunciabilità e la tutela da discriminazioni ideologiche o di natura politica.

L’acquisizione della capacità giuridica segna, dunque, l’ingresso dell’individuo nella sfera del diritto, rendendolo legittimato a possedere beni, contrarre rapporti giuridici, essere destinatario di obbligazioni e titolare di diritti soggettivi.

Capacità giuridica ed eguaglianza: evoluzione storica e normativa

Eguaglianza formale e abolizione delle discriminazioni

La capacità giuridica appartiene a ogni essere umano indipendentemente da sesso, religione, razza, condizione sociale o origine. Questo principio, pur apparendo oggi scontato, ha rappresentato una conquista della modernità giuridica. Fino all’epoca moderna, numerosi ordinamenti giuridici, compreso quello europeo, prevedevano una capacità differenziata in funzione della classe sociale, appartenenza religiosa o genere.

Ancora prima della Rivoluzione francese, ad esempio, il diritto distingueva i soggetti sulla base dell’appartenenza a confessioni religiose (cattolici, protestanti, ebrei), dello status sociale (nobili, borghesi, clero, servi), del genere (maschi e femmine), attribuendo diritti differenti a ciascuna categoria. Solo con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 si afferma il principio secondo cui “gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti”.

Nel nostro ordinamento, è l’art. 3, comma 1, della Costituzione a garantire che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”.

Nel tempo, il legislatore è intervenuto per rimuovere limitazioni formali alla capacità giuridica:

  • Abolizione delle leggi razziali con R.D.L. 20 gennaio 1944, n. 25;
  • Eliminazione delle discriminazioni di genere, con la L. 9 febbraio 1963, n. 66, che ha consentito alle donne l’accesso alla magistratura;
  • Parificazione dei figli nati fuori dal matrimonio, con la riforma del diritto di famiglia del 1975.

Eguaglianza sostanziale e rimozione degli ostacoli sociali

L’art. 3, comma 2, Cost. introduce un ulteriore principio, quello di eguaglianza sostanziale. Esso attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

In questa prospettiva, l’uguaglianza formale, pur essendo condizione necessaria, non è sufficiente a garantire la reale pari dignità giuridica tra i cittadini. La capacità giuridica deve potersi esprimere in modo effettivo nella vita quotidiana, attraverso politiche sociali, economiche e culturali in grado di superare le diseguaglianze materiali.

Capacità giuridica dello straniero e principio di reciprocità

L’art. 16 delle disposizioni sulla legge in generale (disp. prel. al c.c.) stabilisce che allo straniero è riconosciuta la capacità giuridica di diritto privato, salvo il rispetto del principio di reciprocità. Ciò significa che il cittadino straniero può godere dei diritti civili in Italia solo se, e nella misura in cui, il cittadino italiano gode dei medesimi diritti nel suo Paese di origine.

Questo meccanismo può portare a limitazioni significative dei diritti civili degli stranieri extracomunitari, soprattutto in materia patrimoniale, come il diritto alla proprietà o l’esercizio di attività economiche.

È la giurisprudenza a rilevare l’effetto potenzialmente discriminatorio del principio di reciprocità. In particolare, Cass. civ. 30 giugno 2014, n. 14811 ha riconosciuto che l’applicazione rigida del principio può pregiudicare il godimento di diritti fondamentali.

Diritti fondamentali e superamento del principio di reciprocità

Una svolta importante è rappresentata dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico sull’immigrazione), che all’art. 2, comma 1, prevede che allo straniero, comunque presente nel territorio nazionale, siano garantiti i diritti fondamentali della persona previsti dalle norme interne, convenzioni internazionali e dai principi del diritto internazionale.

In virtù di ciò, la giurisprudenza costituzionalmente orientata ha più volte affermato che:

  • I diritti inviolabili della persona umana sono riconosciuti a prescindere dalla cittadinanza;
  • Il principio di reciprocità non può condizionare l’esercizio dei diritti fondamentali.

Tra le principali pronunce si ricordano:

  • Cass. 7 giugno 2015, n. 13923
  • Cass. 13 novembre 2014, n. 24201
  • Cass. 4 novembre 2014, n. 23432

Queste decisioni chiariscono che, interpretando l’art. 16 delle disposizioni preliminari alla luce degli artt. 2, 3 e 10 della Costituzione, si giunge alla conclusione che la dignità e i diritti fondamentali della persona devono essere garantiti a chiunque, inclusi gli stranieri non appartenenti all’Unione europea.

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