L’azione di reintegrazione, conosciuta anche come azione di spoglio, costituisce uno degli strumenti più incisivi previsti dal codice civile per garantire una tutela immediata del possesso, a prescindere dalla titolarità del diritto sul bene.
Disciplinata dall’art. 1168 c.c., essa mira a reintegrare nel possesso chi ne sia stato arbitrariamente privato mediante spoglio violento o clandestino, ponendosi come rimedio a tutela della situazione di fatto del possessore. L’intervento del giudice può arrivare sino alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, restituendo al possessore la disponibilità materiale del bene.
Indice dei contenuti
- Petitum e causa petendi dell’azione di reintegrazione
- Nozione giuridica di spoglio
- La natura dello spoglio: violento e clandestino
- L’elemento soggettivo: l’animus spoliandi
- Legittimazione attiva all’azione di spoglio
- Legittimazione passiva
- L’eccezione “feci, sed iure feci”
- Termine di decadenza dell’azione
- L’azione di manutenzione come rimedio alternativo
Petitum e causa petendi dell’azione di reintegrazione
L’azione di reintegrazione ha come petitum la condanna dello spoliator alla restituzione del possesso e, se necessario, al ripristino dello stato originario dei luoghi. In termini processuali, l’attore chiede che il giudice ordini il ritorno alla situazione anteriore allo spoglio, eventualmente disponendo interventi materiali volti a eliminare le conseguenze dell’atto lesivo (ad esempio, la rimozione di una recinzione abusiva).
La causa petendi consiste nel possesso anteriore del bene e nel fatto dello spoglio, che deve essere stato violento o clandestino, a nulla rilevando la titolarità del diritto. Questo implica che l’attore non è tenuto a provare di essere proprietario del bene, ma solo che ne aveva il possesso e che è stato spogliato contro la sua volontà.
Nozione giuridica di spoglio
Nel linguaggio giuridico, per spoglio si intende qualsiasi atto materiale che comporti:
- una duratura privazione del possesso;
- oppure una modifica apprezzabile della situazione oggettiva preesistente che comprometta l’esercizio del possesso (Cass. 22 gennaio 2013, n. 1494).
Il carattere lesivo dello spoglio è riconosciuto sia nei casi di sottrazione completa del bene sia in quelli di limitazione parziale dell’esercizio del possesso. Alcuni esempi frequenti:
- Spoglio totale: occupazione integrale di un fondo, chiusura totale di una servitù di passaggio (Cass. 30 giugno 2014, n. 14819).
- Spoglio parziale: occupazione di una porzione del fondo, restringimento di un accesso comune (Cass. 22 gennaio 2013, n. 1494).
La natura dello spoglio: violento e clandestino
Ai sensi dell’art. 1168 c.c., lo spoglio deve presentare il carattere della violenza o della clandestinità. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale (Cass. 6 aprile 2017, n. 8911), si considera:
- Violento lo spoglio attuato contro la volontà, espressa o presunta, del possessore o detentore;
- Clandestino quello compiuto in modo occulto, tale da rendere ignaro il possessore fino alla scoperta del fatto.
La giurisprudenza estende la nozione di violenza anche a situazioni in cui il dissenso del possessore sia solo presunto (Cass. 2 dicembre 2013, n. 26985), ampliando notevolmente la portata dell’azione.
L’elemento soggettivo: l’animus spoliandi
Per la proponibilità dell’azione è richiesto il c.d. animus spoliandi, ovvero la consapevolezza e volontà dell’autore dello spoglio (lo spoliator) di compiere un atto lesivo del possesso altrui (Cass. 14 giugno 2017, n. 14797).
Tale elemento soggettivo si presume insito nell’atto materiale stesso di privazione del possesso, salvo prova contraria. È il caso, ad esempio, di beni in evidente stato di abbandono: in questi casi può escludersi che l’autore dello spoglio fosse consapevole della lesione arrecata al possessore (Cass. 25 luglio 2011, n. 16236).
Legittimazione attiva all’azione di spoglio
L’art. 1168, comma 1, c.c. riconosce la legittimazione attiva all’azione a qualsiasi possessore, a prescindere:
- dalla legittimità del possesso;
- dalla buona o mala fede;
- dalla modalità di acquisizione (anche se violenta o clandestina: Cass. 21 gennaio 2009, n. 1551).
Inoltre, anche il detentore qualificato può agire in reintegrazione, a condizione che la detenzione sia autonoma e nel proprio interesse (es. conduttore, comodatario). La legittimazione è riconosciuta anche:
- contro terzi (Cass. 25 settembre 2015, n. 19114);
- contro il possessore, se la detenzione è autonoma (es. convivente estromesso: Cass. 15 settembre 2014, n. 19423; Cass. 2 gennaio 2014, n. 7).
È invece esclusa per il detentore non qualificato, cioè chi detiene per ragioni di servizio o ospitalità (art. 1168, comma 2, c.c.; Cass. 20 marzo 2012, n. 4448). In tal caso, legittimato ad agire è esclusivamente il possessore.
Legittimazione passiva
La legittimazione passiva spetta non solo all’autore materiale dello spoglio, ma anche a:
- chi abbia ordinato l’atto (es. datore di lavoro: Cass. 10 ottobre 2018, n. 24967);
- il c.d. autore morale, che ne abbia tratto vantaggio consapevole dell’illiceità dell’azione;
- il soggetto che detiene o possiede attualmente il bene, avendolo ricevuto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio (Cass. 13 aprile 2015, n. 7365).
È dunque irrilevante che lo spoliator abbia trasferito successivamente il bene: risponde comunque dello spoglio, anche se il possesso si trovi in capo a un terzo.
L’eccezione “feci, sed iure feci”
Un profilo peculiare dell’azione di spoglio riguarda la possibilità per lo spoliator di essere titolare del diritto e, tuttavia, non opporre con successo la propria posizione a titolo giustificativo dell’atto compiuto.
La giurisprudenza esclude la possibilità di giustificare lo spoglio con l’eccezione “feci, sed iure feci”, affermando il principio secondo cui “spoliatus ante omnia restituendus est”: chiunque venga spogliato deve essere prima reintegrato, anche se l’autore dello spoglio è titolare del diritto vantato. Solo successivamente, lo spoliator potrà far valere il proprio diritto in sede giudiziaria, con gli strumenti ordinari.
Termine di decadenza dell’azione
L’azione di reintegrazione è soggetta a un termine di decadenza di un anno, che decorre:
- dal giorno dello spoglio (art. 1168, comma 1, c.c.; Cass. 19 marzo 2014, n. 6428);
- ovvero, in caso di spoglio clandestino, dal momento della scoperta (art. 1168, comma 3, c.c.; Cass. 18 settembre 2009, n. 20228).
Essendo un termine di decadenza in materia di diritti disponibili, il suo decorso deve essere eccepito dalla parte convenuta: non può essere rilevato d’ufficio dal giudice (Cass. 19 gennaio 2018, n. 1455).
L’azione di manutenzione come rimedio alternativo
Nei casi in cui lo spoglio non presenti i caratteri della violenza o della clandestinità, la tutela possessoria non può fondarsi sull’azione di reintegrazione. In tali circostanze, è possibile agire unicamente con l’azione di manutenzione, disciplinata dall’art. 1170 c.c.
Tuttavia, tale azione è soggetta a presupposti più restrittivi, essendo esperibile solo da chi:
- sia possessore di un bene immobile o di un diritto reale su immobile;
- abbia subito turbative nel possesso;
- possieda da almeno un anno in modo continuativo e non clandestino.
L’azione di manutenzione si pone dunque come strumento residuale rispetto a quella di reintegrazione, la quale offre una tutela più rapida e ampia in presenza dei requisiti richiesti.
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