Abuso edilizio non sanabile

Abuso edilizio non sanabile | Risoluzione preliminare

L’abuso edilizio non sanabile rappresenta un grave ostacolo alla conclusione della compravendita e può determinare anche la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare.

Quando l’immobile promesso in vendita presenta difformità urbanistiche insanabili, la parte promissaria acquirente ha diritto a domandare lo scioglimento del vincolo contrattuale.

La Cassazione, con l’ordinanza n. 8749 del 3 aprile 2024, ha confermato la necessità di accertare, caso per caso, l’insanabilità delle difformità edilizie per fondare la risoluzione.

Indice dei contenuti:

  • Abuso edilizio non sanabile e preliminare di vendita
  • Il caso deciso dalla Cassazione con ordinanza n. 8749/2024
  • Il principio di aliud pro alio nella vendita immobiliare
  • Condizione risolutiva e inadempimento nel contratto preliminare
  • L’incidenza dell’assenza del certificato di abitabilità
  • La rilevanza dell’abuso edilizio insanabile
  • L’accertamento probatorio dell’abuso edilizio non sanabile
  • Altri orientamenti giurisprudenziali in materia

Abuso edilizio non sanabile e preliminare di vendita

La presenza di un abuso edilizio non sanabile incide direttamente sulla validità e sull’esecuzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare.

Laddove l’immobile presenti una variazione della destinazione d’uso non conforme e insanabile, il promissario acquirente può legittimamente domandare la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento, ai sensi dell’art. 1453 c.c.

Secondo la giurisprudenza consolidata, infatti, il mancato rilascio del certificato di agibilità o la presenza di gravi difformità edilizie non sanabili può integrare un inadempimento qualificato, idoneo a giustificare la risoluzione del vincolo.

Il caso deciso dalla Cassazione con ordinanza n. 8749/2024

Nel caso esaminato dalla Cassazione con ordinanza n. 8749 del 3 aprile 2024, V. M. C. e P. E. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, le società T. C. S.r.l. e BD Invest S.r.l., chiedendo:

  • la dichiarazione di nullità per impossibilità dell’oggetto del contratto preliminare di vendita relativo a un appartamento privo di destinazione d’uso abitativa;
  • in subordine, la risoluzione del contratto per grave inadempimento del promittente alienante;
  • la restituzione della caparra confirmatoria pari a euro 150.000,00 e della provvigione versata alla società intermediaria.

Le domande si fondavano sul rigetto delle istanze di sanatoria presentate per la variazione di destinazione d’uso (da servizi comuni – palestra e piscina – a superficie abitativa), oggetto di contenzioso pendente dinanzi al TAR Lazio.

Il Tribunale di Roma, accertata l’assenza di prova circa l’idoneità dell’immobile ad ottenere l’abitabilità e la sussistenza di difformità edilizie, pronunciava la risoluzione per grave inadempimento della T. C. S.r.l., condannandola alla restituzione della caparra, e condannava la BD Invest S.r.l. alla restituzione della provvigione.

Il principio di aliud pro alio nella vendita immobiliare

L’ordinanza richiama un principio affermato più volte dalla giurisprudenza di legittimità: nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità può costituire:

  • vendita di aliud pro alio: se le difformità edilizie sono insanabili;
  • vizio contrattuale (mancanza di qualità essenziali): se le difformità sono sanabili;
  • inadempimento non grave: se la mancata abitabilità deriva solo da un ritardo amministrativo.

Nel caso dell’abuso edilizio insanabile, l’immobile risulta oggettivamente inadeguato a soddisfare l’interesse del compratore e non corrisponde all’oggetto pattuito: si configura così un inadempimento qualificato, che legittima la risoluzione del contratto.

Condizione risolutiva e inadempimento nel contratto preliminare

Nel caso in esame, la Corte d’appello di Roma aveva riformato la decisione di primo grado, rigettando la domanda di risoluzione e condannando la promissaria acquirente alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado.

La Cassazione ha cassato con rinvio tale pronuncia, osservando che il mancato verificarsi della condizione risolutiva (relativa al rilascio del certificato di agibilità) non precludeva in automatico l’esame dell’inadempimento dedotto ex art. 1453 c.c.

Infatti, nei contratti a prestazioni corrispettive sottoposti a condizione risolutiva, il giudice deve valutare autonomamente la gravità dell’inadempimento, anche se la condizione non si verifica.

L’incidenza dell’assenza del certificato di abitabilità

La mancanza del certificato di abitabilità non può essere valutata come un mero dato formale. Occorre invece verificare l’effettiva inadeguatezza dell’immobile a soddisfare le esigenze del promissario acquirente.

In caso di difformità urbanistiche insanabili, la mancanza del certificato assume rilievo sostanziale e determina la risoluzione del contratto.

Nel caso concreto, il certificato non era stato rilasciato né prima né durante il giudizio, ed era pendente un contenzioso amministrativo volto a contestare il rigetto della sanatoria per il mutamento di destinazione d’uso.

La rilevanza dell’abuso edilizio insanabile

La Cassazione ha ribadito che solo la mancanza delle condizioni sostanziali per ottenere il rilascio del certificato di abitabilità può giustificare la risoluzione. Se, al contrario, tali condizioni ricorrono e la carenza del certificato è solo formale, non può disporsi lo scioglimento del contratto.

L’insanabilità va valutata alla luce del quadro probatorio, tenendo conto dell’iter amministrativo e delle risposte dell’amministrazione comunale.

L’accertamento probatorio dell’abuso edilizio non sanabile

Nel caso di specie, le difformità edilizie riguardavano una variazione da servizi comuni a superficie abitativa per 213 mq di superficie utile. La verifica dell’insanabilità avrebbe richiesto un’attenta analisi del contenuto della pratica di sanatoria e dei provvedimenti amministrativi intervenuti.

La Cassazione ha sottolineato che, in difetto di prova contraria, deve presumersi che l’immobile non fosse oggettivamente idoneo a soddisfare le esigenze della parte acquirente, determinando un inadempimento qualificato.

Altri orientamenti giurisprudenziali in materia

L’ordinanza si inserisce nel solco tracciato da precedenti decisioni della Suprema Corte (tra cui Cass. civ., sez. I, ord. n. 25061/2018; Cass. civ., sez. II, sent. n. 8468/2002; Cass. civ., sez. II, sent. n. 3942/2002; Cass. civ., sez. II, sent. n. 7875/1990), secondo cui:

  • l’avveramento della condizione risolutiva esclude la pronuncia sulla risoluzione per inadempimento;
  • in caso contrario, il giudice deve accertare la gravità e imputabilità dell’inadempimento;
  • la mancanza della certificazione abitativa non è di per sé causa di risoluzione, ma lo diventa in presenza di insanabili violazioni urbanistiche.

In tale prospettiva, il giudice di merito deve accertare, con riferimento alle concrete circostanze, se l’immobile sia oggettivamente inadatto alla sua funzione economico-sociale, ovvero privo di attitudine a soddisfare l’interesse contrattualmente tutelato.

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